Il giorno dell’oscenitàLa doppia ed empia offesa ai sopravvissuti della Shoah

Quel bambino ebreo che anni fa sfilava tra i compagni che gli sputavano in faccia oggi vede in strada cortei antisemiti: sono sempre in pochi, davvero pochi, a provare rimorso

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La retorica sui sopravvissuti alla Shoah vien buona un paio di volte all’anno, verso il 25 aprile e intorno alle insopportabili Giornate della memoria, e si consuma perlopiù su qualche palco televisivo in cui l’Italia progressista e contro l’odio snocciola le ragioni costituzionali della convivenza democratica nel milieu repubblicano: pace pace pace, diritti diritti diritti, ammore ammore ammore, con l’obbligo di resistere resistere resistere all’incombente pericolo nero rappresentato da quattro deficienti che fanno il saluto romano mentre mangiano la piada con lo squacquerone, e fermo il dovere morale di gridare «not in my name» perché le istituzioni pubbliche sono squassate dall’oltraggiosa presenza della statuetta ducesca sullo scaffale di casa del presidente del Senato.

Eppure i pochi ultra-ottantenni che ancora rimangono avrebbero diritto a un’attenzione risarcitoria diversa da questa.

Il bambino che era fatto sfilare tra due ali di compagni istruiti dalla maestra a sputargli in faccia, con la colonna sonora dello slogan «Avete ucciso Gesù Cristo», quel bambino, oggi, sulla fine di una vita segnata irrimediabilmente da quello scempio, non sente che tutto questo tempo è passato invano perché “le destre” sono al governo: sente che è passato invano perché vede che non succede nulla se una stronza, in trionfo nel mezzo di una turba di filo-sgozzatori, grida «Fuori i sionisti da Roma».

Trentenne, ben dentro alle guarentigie della Costituzione più bella del mondo fondata sull’antifascismo, non voleva che la propria neonata nipote ricevesse un nome capace di esporla ai pericoli e alla persecuzione che lui aveva patito. E adesso che le belle “ragioni” del pogrom del 7 ottobre ridondano nella caccia all’ebreo, nei cortei stile kristallnacht organizzati in mezza Europa e nelle applaudite oscenità di un malvissuto dell’Onu secondo cui certe cose non vengono dal nulla, quel vecchio dice: «Vedete? Avevo ragione».

Per non dargli ragione sarebbe stato necessario un apparato di obiezioni un po’ più forte rispetto a quello su cui ha potuto contare: ma ha visto definire “inaccettabili”, come i parchimetri troppo cari, le stelle disegnate sulle case degli ebrei; ha visto definire “inaccettabili”, tipo le accise, le rivendicazioni “dal fiume al mare” passando per il deliberato massacro di donne, vecchi e bambini; e ha visto trattare come materia di studio, di doveroso dibattito, di necessario accertamento, di democratico confronto il caso del professore di un liceo romano (gli ricordava qualcosa…) che chiede agli studenti di giudicare il genocidio perpetrato dallo Stato terrorista e dell’apartheid prendendo a riferimento il compagno responsabile di appartenere a quella stirpe.

Nelle “Lettere spirituali”, Giuseppe Rensi scriveva: «Tu stupisci e inorridisci che vi siano al mondo uomini capaci di compiere tali cattiverie e iniquità, e di tormentare in siffatta guisa in mille modi gli altri; e dici: “che rimorso dovrebbero sentire!”. Sei ingenuo. Delle iniquità da loro commesse sentono il rimorso non essi, ma tu». È ciò che tocca, ma in doppio grado, ai pochi superstiti della Shoah. In doppio grado perché nuovamente assistono allo scempio, e perché vedono che a provarne rimorso sono così pochi.

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