Cura digitaleCosì la realtà virtuale migliora i trattamenti clinici (e aiuta a combattere il dolore)

Al Centro Maria Letizia Verga di Monza, i visori che danno accesso al Metaverso vengono usati per migliorare l'esperienza del paziente durante la medicazione di ferite e controlli invasivi e persino per la cura di disturbi psicologici

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«La routine fa sì che tutte le giornate si assomiglino: si perde lo smalto, la voglia di fare, l’entusiasmo. Il genitore che è chiamato a dare sostegno si deve inventare di tutto e di più». Diego è il padre di una bambina di otto anni. Nell’ottobre del 2022 alla figlia è stata diagnosticata una leucemia che l’ha costretta a una lunga degenza ospedaliera, con settimane di isolamento e intere giornate passate a letto. «Durante la permanenza non è stato semplice garantirle una qualità di vita all’altezza, anche dal punto di vista delle interazioni», spiega durante una telefonata. Quando è stata avanzata l’idea di provare un visore per la realtà virtuale come sostegno psicologico, padre e figlia hanno accettato.

«La prima volta l’abbiamo usato per circa mezz’ora – prosegue Diego –, sperimentando l’interazione con le varie ambientazioni disponibili. La prima è stata un’isola tropicale. Forse c’era un desiderio inconscio di pensare all’estate e al mare. A qualcosa di bello che desse una spinta per andare avanti, in un momento in cui era difficile pensare al costume, al sole e ai castelli di sabbia». Il software in questione era Nature Treks, un videogioco che catapulta chi indossa il visore in alcuni scenari estremamente realistici e rilassanti. Tra quelli disponibili c’è anche un bosco abitato da cerbiatti: «Mi ha detto che c’erano momenti in cui le sembrava di poter toccare gli animali, con le mani li cercava ma non li trovava. Si tratta di un’esperienza che stimola diversi sensi e soprattutto la fantasia, psicologicamente ha avuto un’importanza notevole. In una stanza con un panorama fisso, persone che si ripetono e prospettive molto limitate, il desiderio di evasione è fortissimo. Lo era per me, posso solo immaginare quanto per la bimba».

Quello della figlia di Diego non è un caso isolato. I visori per la realtà virtuale vengono già utilizzati in diverse strutture ospedaliere di tutto il mondo con lo scopo di migliorare l’esperienza del paziente o ridurre la percezione del dolore in caso di particolari terapie o trattamenti clinici. La letteratura medica relativa a questo approccio si è arricchita negli ultimi anni: sfruttare la porta d’accesso al cosiddetto Metaverso durante la medicazione di ferite, controlli invasivi o persino per la cura di disturbi psicologici (ansia, depressione e schizofrenia) è una pratica diffusa in molte cliniche statunitensi.

Succede anche in Italia, per esempio al Centro Maria Letizia Verga di Monza, una realtà di riferimento per lo studio e la cura di minori affetti da malattie ematoncologiche – tumori al sangue, come la leucemia – e altri disturbi ad alta complessità terapeutica. Il centro è sorto grazie all’attività del Comitato Maria Letizia Verga, una onlus nata nel 1979 che riunisce medici, ricercatori, operatori sanitari e volontari che aiutano bambini e ragazzi ad affrontare il percorso di cura.

Da alcuni anni la struttura fa uso di un visore per la realtà virtuale come ausilio per alcuni trattamenti terapeutici che riguardano i minori. Il dispositivo in questione è Meta Quest 2, l’headset di Meta, la compagnia fondata da Mark Zuckerberg. Il centro è stato anche tra i primi in Italia a dare il via a una ricerca scientifica sul progetto TOMMI, un’applicazione realizzata specificatamente per i pazienti pediatrici e sviluppata da Softcare Studios, una start-up italiana nata a Roma nel 2017 che opera nel campo della digital health.

TOMMI funziona come un videogame: con il supporto del personale infermieristico e con il coinvolgimento dei genitori, i bambini indossano il visore e si ritrovano in uno scenario fantasy caratterizzato da molteplici stimoli visivi. L’immersione in ambienti virtuali aiuta il minore a rilassarsi, a ridurre l’ansia clinica e la percezione del dolore, mentre una strumentazione dedicata permette di misurare la diminuzione di stress nel soggetto e memorizza dati utili per ottimizzare la terapia in base alle sue esigenze.

«Abbiamo inserito il visore all’interno della nostra pratica clinica come strumento distrattore, una sorta di analgesico per le procedure dolorose», spiega a Linkiesta la dottoressa Francesca Nichelli, psicologa e psicoterapeuta del comitato. Il semplice prelievo venoso è uno degli esami strumentali più frequenti nella terapia delle patologie ematologiche. Per molti bambini, tuttavia, è motivo di forte ansia. «Inizialmente abbiamo deciso di focalizzare la raccolta dati (utile alla sperimentazione relativa al visore, ndr) sui prelievi. L’idea era valutarne l’efficacia e poi applicarla eventualmente ad altre procedure, come la pulizia del catetere».

La raccolta preliminare ha prodotto risultati incoraggianti: «È stato fatto uno studio di qualità del servizio per capire se fosse una cosa utile e a favore del paziente. Per questo è stata valutata la fattibilità e la soddisfazione nell’uso dello strumento», aggiunge Marco Spinelli, medico oncoematologo e responsabile del servizio psicosociale del centro. Il campione di bambini coinvolti ha superato quota cento: tutti minori da cinque a dieci anni, sottoposti a frequenti prelievi senza catetere venoso centrale. Ora l’obiettivo è quello di espandere ulteriormente il campione.

Il dispositivo si rivela particolarmente efficace anche in caso di lunghe degenze, come testimonia l’esperienza di Diego e sua figlia. La fuga da una realtà limitata a quattro pareti acquista in questi casi un valore aggiunto: «Durante il ricovero lo spazio che i minori vedono è sempre lo stesso, una stanza», racconta Emanuela Schivalocchi, anche lei psicologa. «Penso a chi deve rimanere immobilizzato a letto per molto tempo, magari mantenendo la stessa posizione a lungo: condizioni che non permettono di poter giocare o disegnare. Il visore diventa in questi casi un’attività da svolgere insieme, un’esperienza condivisa anche con gli altri pazienti o con i genitori. Mi è capitato che alcuni bimbi sottoposti a trapianto di midollo e obbligati a un lungo ricovero mi chiedessero: «oggi dove andiamo?», facendo riferimento proprio alla realtà virtuale».

Le testimonianze a favore di questo approccio in ambito medico sono innumerevoli. Come spiega il report Extended reality: opportunities, success stories and challenges (richiesto dalla Commissione europea al fine di promuovere la diffusione di questa tecnologia nel nostro continente), «le dimostrazioni delle procedure mediche tramite realtà virtuale offrono ai pazienti una maggiore autoefficacia, consapevolezza, fiducia, capacità di far fronte alla situazione e alfabetizzazione sanitaria, con conseguente miglioramento del rapporto medico-paziente».

Tra i progetti citati nel report europeo c’è un ospedale virtuale che aiuta le donne in gravidanza a visitare preventivamente il reparto maternità, in modo da ridurre l’ansia pre-parto. I visori possono essere utilizzati anche per simulare una certa condizione medica, in modo da migliorare la comprensione e l’empatia del caregiver nei confronti del malato, permettendo ad esempio di sperimentare un disagio psicologico come la demenza, oppure le difficoltà legate a disturbi della vista.

«Il nostro obiettivo è rendere accessibili e fruibili i benefici delle tecnologie immersive per sostenere la qualità dell’esperienza dei pazienti in ospedale», spiega Valentino Megale, co-fondatore di Softcare Studios e ideatore di TOMMI, che nel 2018 è stato selezionato come miglior progetto e-health dell’Unione europea. Megale e il suo team vogliono proporre un’alternativa alla necessità di somministrare farmaci ai bambini (sedativi e antidolorifici) e collaborano con associazioni e fondazioni di tutta Italia impegnate nei reparti ospedalieri.

«Attualmente stiamo espandendo l’applicazione di TOMMI alle procedure di accesso vascolare, in primis il posizionamento del Picc (un catetere venoso inserito all’altezza del braccio), dove viene impiegato come strumento utile a ridurre la necessità di sedare i pazienti durante la procedura». Questa nuova fase è stata lanciata in collaborazione con il team medico dell’ospedale Fatebenefratelli di Milano, insieme allo specialista in accessi vascolari Gianuario Sanna, ed è il risultato di una pubblicazione scientifica sul The Journal of Vascular Access. Con una riduzione delle sedazioni del novanta per cento, i risultati sono entusiasmanti.

Softcare Studios rappresenta un esempio virtuoso all’interno di un settore con una storia relativamente breve. Il mercato legato alla digital healthcare, la sanità che si interfaccia con il mondo digitale, sta accelerando notevolmente in Europa. Purtroppo, l’Italia sembra non tenere il passo: secondo il Global Digital Health Business Outlook Survey 2022 redatto dagli analisti di Research2Guidance, i migliori mercati per la sanità digitale al 2022 sono Stati Uniti, Germania e Regno Unito.

Il nostro Paese non compare neppure nella top ten, a differenza di Francia e Spagna. «Ritengo che per attrarre investimenti significativi nel settore, la sanità italiana debba identificare regole chiare e sostenibili attorno all’integrazione delle tecnologie digitali nei suoi processi e nelle sue infrastrutture – conclude Megale –. Servono standard, metodologie condivise e linee guida per un uso consapevole e responsabile, in un’epoca in cui i dati sono una ricchezza, ma anche uno scoglio in termini di sicurezza».

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