Nel corso della giornata di ieri si sono moltiplicati gli appelli al ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, affinché smentisse la notizia riportata dal Fatto quotidiano circa una sua diffida al programma radiofonico «Un giorno da pecora». Smentita che all’ora in cui scrivo ancora non risulta pervenuta, grazie al cielo, e che sinceramente mi auguro non arrivi mai, perché priverebbe il pubblico non solo di un grande pezzo di satira, ma anche di un illuminante spaccato della cultura e della psicologia della nuova classe dirigente.
Secondo il Fatto, la lettera dell’avvocato lamenterebbe infatti come da mesi Sangiuliano sia vittima di una sistematica denigrazione da parte della trasmissione di Radio Uno, che si sarebbe spinta fino a ipotizzare, udite udite, una «carenza di preparazione culturale della persona». In questo, a giudizio del legale, pur nella consapevolezza del tono ironico del programma, si anniderebbe chiaramente un «intento diffamatorio tanto più grave se si considerano il profilo e la personalità del dottor Sangiuliano», il quale non per niente «è laureato in Giurisprudenza, dottore di ricerca e professore a contratto in diversi atenei». E scusate se è poco.
I maligni, naturalmente, hanno subito pensato a una vendetta nei confronti di Geppi Cucciari, che conduce il programma insieme a Giorgio Lauro, e alla presentazione del premio Strega era stata protagonista di un indimenticabile scambio con il ministro. Con lui che nel bel mezzo di un retorico invito alla lettura si lascia scappare, a proposito dei libri in gara, un rivelatore «proverò a leggerli», e lei che quasi balbetta per lo stupore: «Ah, non… non… non li ha letti?», scatenando così una straziante marcia indietro da parte di Sangiuliano, il quale a quel punto biascica un incredibile: «Sì, li ho letti perché ho votato, però voglio, come dire, approfondire questi volumi». Ma lei ormai non può più tenersi, e quindi risponde: «Cioè oltre la copertina, dentro».
D’altra parte stiamo parlando del ministro della Cultura che, pensando evidentemente di fare un figurone, qualche mese fa aveva dichiarato: «Nel mio piccolo mi sono autoimposto di leggere un libro al mese. È un fatto di disciplina. Come andare a messa». Parole che testimoniano tanto la vastità della sua cultura quanto il fervore della sua fede.
Nell’idea di diffidare un programma satirico per lesione del profilo culturale del ministro c’è però qualcosa che va oltre Sangiuliano e tocca l’intero governo. Penso al ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, che pretende di fermare il treno per scendere quando più gli aggrada, magari dopo avere telefonato all’amministratore delegato delle Ferrovie, e poi insiste a rivendicare la sua scelta come un dovere istituzionale. Penso al sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi (a proposito, è ancora lì?), che solo quest’anno, stando ai giornali, avrebbe incassato centinaia di migliaia di euro per la partecipazione a mostre, premi e inaugurazioni, notizia che lo stesso Sangiuliano, a fine ottobre, aveva commentato dichiarando di avere segnalato tutto all’Antitrust e di averne informato anche la presidente del Consiglio (dopodiché?).
In pratica, a dispetto della retorica populista e anti-casta con cui sono arrivati al potere, e che la stessa Giorgia Meloni continua a utilizzare a piene mani, da ultimo nel suo messaggio all’iniziativa di Fratelli d’Italia per il primo anno di governo («Noi abbiamo portato al governo l’Italia vera, che non è quella descritta dai giornaloni, o nei salotti tv, abbiamo portato al governo l’Italia dimenticata e umiliata da anni di governi di sinistra…»), questa schiera di ministri, sottosegretari e parlamentari della nuova destra è tutta un «lei non sa chi sono io». Ma la vera tragedia è che sembrano non saperlo neanche loro.