I contestualizzatoriIl grottesco squilibrio morale nel giudicare Israele e Hamas

La disuguaglianza nella valutazione delle azioni del governo israeliano e del gruppo terroristico palestinese è politicamente problematica, ma anche dannosa per la comprensione del conflitto e per le prospettive di una tregua

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Tra le tante evidenze di squilibrio nell’osservazione comune del conflitto in corso e, in particolare, nel giudizio sui rapporti tra le rispettive dirigenze delle parti (il governo israeliano, da un lato, e Hamas, dall’altro), c’è questa: che le componenti reazionarie e oltranziste con legittimazione di governo in Israele rappresentano, appunto nel giudizio più diffuso, una realtà di irrimediabile e deplorevole contaminazione non solo delle scelte esecutive israeliane, ma della stessa società di quel Paese, mentre il carattere rappresentativo di Hamas, il fatto che questa organizzazione goda di un più o meno notevole accreditamento presso la popolazione palestinese, si rivolta in circostanza assolutoria e meritevole, come si dice, di contestualizzazione.

Per capirsi: Israele è nazista, e nazisti sono gli israeliani, perché c’è Netanyahu e perché Ben-Gvir dissemina odio anti-arabo; invece andiamoci cauti nel mettere in fascio ogni erba palestinese e nel liquidare a rango puramente terrorista Hamas, perché – signori miei – magari i suoi militanti si saranno lasciati andare a qualche scompostezza un paio di mesi fa e tuttavia, come certifica la mancata avvocatessa dell’Onu, quelli hanno comunque vinto le elezioni e gestiscono scuole e uffici pubblici. Il terzo Reich, è noto, qualcosa di buono l’ha pur fatto, tanto è vero che gestiva scuole e uffici pubblici oltre che campi in cui il lavoro rendeva liberi.

Il fatto che questo squilibrio di valutazione sia semplicemente ridicolo, politicamente incongruo e moralmente bacato non toglie che sia efficace, anzi proprio la miserabile inaderenza per cui si segnala lo fa più ficcante. E il problema (sarebbe inutile precisarlo) sta nel fatto che un’analisi tanto sbilenca non ricasca sui dissesti delle strade romane ma sulle pietre d’inciampo devastate, non sfoglia il pensiero di Maurizio Landini sul salario minimo ma le deliberazioni di Amnesty International che non strappa bensì rimuove e depone nella monnezza i volantini degli ostaggi. 

Il problema, ancora, è che la magari non pienissima, magari imperfetta, magari un poco immatura ma dopotutto innegabile democraticità di Hamas non è materia di rivendicazione in qualche fogna social, ma finisce nei cortei della pace che trionfano nello strillo «Fuori i sionisti da Roma» e nelle serate del Porcaio Unico Televisivo in cui il geopolitologo spiega che il nazismo vero sta a Washington, a Kyjiv e a Gerusalemme. Il problema, infine, è la ragionevole accettabilità di un latifondo dal fiume al mare impiantato su quel presupposto: e cioè sul fatto che gli sgozzatori, a ben guardare, hanno la loro bella didattica e si dice che fanno funzionare mica male anche le poste.

Dovrebbe capire chiunque che le prospettive di pace sono fortemente influenzate (e pericolosamente ostacolate) da questo rifiuto di comprendere che in conflitto non sono soltanto due corpi armati, ma anche, e forse prima, due visioni del mondo e del tipo di civiltà chiamato a presiederlo.

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