La maggioranza di destra è andata in crisi su un dossier decisivo di politica estera. La reputazione italiana in Europa è ai minimi termini. La lotta tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni per le europee potrebbe compromettere il Governo. Il più sincero è stato il capogruppo di Forza Italia Paolo Barelli che avrebbe evitato volentieri il rinvio del voto sulla ratifica del Meccanismo europeo di stabilità. Ma poi la conferenza dei capigruppo ha deciso di andare in aula e lì è successo il patatrac del voto contrario di Fratelli d’Italia e della Lega. «Quello che è successo fa capire che si tratta di una competizione a destra»: testuali parole dell’esponente azzurro, che dovrebbe però spiegare perché il suo partito tanto europeista si è astenuto. Le sfumature di cui parla spesso Antonio Tajani suonano ridicole.
È una competizione a destra, tutta politica, all’indomani dell’ok del governo Meloni al nuovo Patto di stabilità. Una riforma sostanzialmente concordata da Berlino e Parigi, subita obtorto collo da Roma che avrà difficoltà il prossimo anno a confermare il taglio del cuneo fiscale e trovare i soldi che quest’anno non ha trovato per la sanità pubblica. C’era dunque bisogno di dare una sterzata sovranista, recuperare una coerenza con il passato duro e puro.
Matteo Salvini non aveva mai ceduto, andando contro un fondo già esistente, ma che si vuole estendere per eventuali crisi bancarie. Il ragionamento del leghista è sempre stato quello di riprendersi i denari messi nel Mes. Giorgia Meloni ha detto sempre le stesse cose, in passato, ma sembrava che, da metamorfosi in metamorfosi, avesse cambiato opinione. Del resto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti aveva garantito ai suoi colleghi che alla fine questo benedetto Mes l’avremmo ratificato. Sempre dentro una logica di “pacchetto”: se fossimo rimasti soddisfatti delle nuove regole di bilancio contenute nel Patto di bilancio. Evidentemente Meloni tanto contenta non è, così come non lo è neanche Giancarlo Giorgetti se l’altro ieri in videoconferenza ha atteso che si pronunciassero gli prima gli altri ministri dell’Economia, sperando che qualcuno si mettesse di traverso per andare in scia.
Rimangono scolpite nella pietra storica di questa maggioranza tre cose: la presidente del Consiglio non si è fatta scavalcare da Salvini; il centrodestra si è diviso mai come questa volta; Giorgetti, che non la pensa come Salvini, è di fatto un’anatra zoppa (la sua credibilità in Europa ne esce fortemente intaccata). Poi c’è l’opposizione, anch’essa divisa: il Partito democratico ha votato a favore del Mes, insieme ad Azione, Italia Viva e +Europa; i Cinquestelle contro. Con la straordinaria faccia tosta di Giuseppe Conte che, quando era a Palazzo Chigi, la pensava in maniera diversa.
Insomma, non ci facciamo mancare nulla. Blocchiamo un meccanismo che tutti gli altri Paesi potrebbero attivare in caso di diffuse crisi bancarie. E di contagio, a riprova che il discorso di Salvini (a goderne sarebbero solo gli istituti di credito tedeschi) non sta in piedi. A parte il fatto che noi non saremmo costretti a ricorrere al Mes. Resta in vigore l’attuale trattato, solo che non potrà aprirsi il paracadute finanziario dal gennaio 2024. Ma la destra italiana, al di là del merito, ha politicizzato la questione. Un calcio di ripicca all’Europa. Un derby tra sovranisti che Meloni avrebbe voluto evitare con il cosiddetto «lodo Fazzolari» dal nome del sottosegretario e braccio destro di Meloni: votare il testo con la precisazione che in futuro si potrà accedere al fondo solo con una maggioranza parlamentare qualificata.
Invece niente. Salvini ha spezzato la corda: troppi voti da recuperare alle europee per non farsi chiudere, ancora una volta, nel recinto dell’ultra destra. Ci finirà lo stesso, soprattutto dopo questa prova di antieuropeismo.