Illusione perduta Per il Pd è più importante denunciare il fascismo alla Scala che difendere Ucraina e Israele

Non ha alcun senso assolvere il grosso della classe dirigente dem perché all’interno del partito ci sono anche pochi esponenti che non contano niente. Semmai è la riprova di un difetto generale e complessivo

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Impegnato a contrastare il fascismo dei soprammobili, il maschilismo dei tergicristalli e il patriarcato della pizza al taglio, il Partito democratico in palingenesi scaligera ritrova anziché smentire sé stesso nella supercazzola pacifista che lascia correre la caccia all’ebreo nelle strade e nelle università del mondo libero e giudiziosamente si disinteressa della sorte sempre più indifesa degli ucraini.

Quando, l’anno scorso, un notabile postcomunista tra i più accreditati in serietà (figurarsi gli altri) addebitava a Carlo Calenda di «aver sbagliato corteo» perché era andato a Milano alla manifestazione per l’Ucraina, non a Roma alla manifestazione «per la pace» (quella con Mister Graduidamende, piena di bandiere di Hamas), il profilo storto del Pd era abbondantemente formulato a onta dei fiduciosi (direi degli illusi) intestarditi a difenderne le presunte nettezze giusto perché in quei ranghi non era ancora prevalente il ragionamento complesso sulle cause dell’operazione speciale e sulla verosimile presenza di agenti della Spectre tra le forze armate di Kyjiv. 

E non credo che si trattasse di fiducia mantenuta o di illusione nutrita, diciamo così, per la disperata speranza che quel partito, nonostante la somma di segni contrari, rimanesse fedele all’intransigenza imposta a suo tempo da Mario Draghi: credo invece che si trattasse dell’opposto, e cioè dell’incapacità di capire che non bastava l’adesione, peraltro non sempre fermissima, alle deliberazioni di governo, né poi la formale reiterazione degli intendimenti di solidarietà, a rendere genuino e fattivo un sostegno che non trovava la forza di partecipare a una manifestazione per l’Ucraina libera dall’aggressione russa. La stessa mancanza di cui quel partito si rendeva responsabile l’altro giorno, appaltando alla pregevole ma soltanto personale singolarità di un antico esponente, Piero Fassino, l’adesione alla manifestazione romana contro l’antisemitismo e il terrorismo.

La presenza, in quel partito, di singoli quanto ininfluenti benintenzionati dovrebbe essere guardata dal punto di vista giusto: non il punto di vista che assolve il grosso di quella classe dirigente alla luce delle testimonianze di quei pochi, ma quello che le vede come la riprova di un difetto generale e complessivo, come la dimostrazione politicamente decisiva che sulle cose che contano non ha nessun senso fare conto sui pochi che non contano.

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