L’accento della bassa padana è evidente a un osservatore attento, ma ormai la cadenza è cento per cento parigina: ed è con il francese che Massimo Mori si è fatto strada negli ultimi quarant’anni nel quartiere più branché della capitale, dove ha aperto e gestito il Mori e il Caffè Armani, oggi una stella Michelin e crocevia di personaggi, incontri, dialoghi e prodotti.
È proprio nel locale di Saint Germain, sopra alla storica boutique del signor Armani, come lo chiama lui, che questo mantovano anomalo ha messo a segno la sua realizzazione: far stare le persone come a casa propria, farle sentire accolte, ma a un livello di perfezione impensabile. «Il nostro lavoro è fatto così: bisogna accueillir… dobbiamo ricordarci le preferenze degli ospiti» ci spiega mentre parla al telefono con una cliente per suggerirle un anello e dialoga con lo chef per far avere al tavolo a fianco la rosa di Gorizia: «Me ne sono appena arrivati dodici chili, direttamente dalla Serenissima: avere qui questi prodotti è un privilegio, senti che bontà!».
Siamo a Parigi, nel quartiere più caro della città, ma appena varcata la soglia di questo locale con tre anime, boutique, caffè con cucina e ristorante stellato, è come aver preso l’aereo per tornare in Italia: anzi, paradossalmente siamo più in Italia qui che a casa: «Noi dobbiamo preservare la nostra identità italiana, perché qui c’è una tale concentrazione di locali che il cliente deve scegliere te per un motivo specifico: quelli che vengono da noi vogliono mangiare al meglio possibile la cucina italiana tradizionale. Quando abbiamo immaginato il menu, il signor Armani voleva che qui facessimo i migliori spaghetti al pomodoro di Parigi». E quel piatto non è mai sparito dal menu. Come il gelato (cremoso e delizioso) che non può mai mancare, o il tiramisù, deliziosamente decorato dal quadratino al cioccolato con l’aquila rigata, perché siamo comunque in un luogo dove il brand conta parecchio. «La difficoltà non è convincere i clienti di questa scelta: anzi, i clienti la apprezzano. A volte è difficile tenere a freno gli chef in cucina, che hanno – anche giustamente – voglia di sperimentare». Gli fa eco Massimo Tringali, executive qui da otto anni «che sono passati talmente in fretta che sembrano volati. All’inizio, e a dire il vero a ogni cambio menu, la difficoltà è sempre stata togliere. Con il signor Mori cerchiamo di non fare mai sconti alla nostra individualità, e di dare sempre più spazio a prodotti e produttori in grado di far parlare il nostro Paese».
È per questo che venendo qui mangerete cose che a volte in Italia non si trovano più, e che il menu non si apre descrivendo la filosofia dello chef, ma con la lista dei grandi fornitori del ristorante. Grandi in termini qualitativi, non certo per dimensioni, perché questi due ambasciatori del gusto nei momenti liberi dagli impegni serrati del ristorante parigino scandagliano il nostro Paese alla ricerca di qualche bella e buona novità, prestando grande attenzione alle produzioni più piccole e ricercate: «Ci appassionano tutti i matti come noi».
È tutto perfettamente coerente, qui, con questi toni pacati, con questi arredi minimali, linee tonde che si fondono con tagli rigorosi: proprio come in passerella, lo stile che governa casa Armani è quello che si percepisce entrando in questo universo. È quel modo accogliente ma professionale, quel servizio che ristora ma rimane un passo indietro. È il lusso di poter scegliere quel che mangio, e il privilegio di avere qualcuno che conosce i miei gusti e mi permette di avere nel piatto qualcosa che non sapevo di desiderare, ma che mi piacerà senz’altro, che è stato scelto con cura e dedizione, e mi regala un pezzo di storia, di tradizione e di artigianalità italiana. E allo stesso tempo c’è quell’“italian touch” che diventa subito salotto: arrivano amici, si scambiano opinioni – su cibo e vino, nella più classica delle tradizioni italiane, si degusta lo stesso piatto a un tavolo di distanza e si commenta, tornando ognuno nel suo universo quando serve discrezione, che qui rimane uno dei patrimoni più custoditi.
Il tutto, con un occhio speciale alla sostenibilità, che non è un costrutto di marketing ma un grande impegno comune, come scrive Alimentation General parlando di questa insegna: «I valori del ristorante tendono alla sostenibilità alimentare e alla necessaria transizione ecologica, e non ce ne sono molti nella categoria, per non dire che negli anni 2000 sono stati pionieri. L’Armani Ristorante punta molto sulla qualità dei suoi approvvigionamenti: frutta e verdura provenienti da coltivazioni sostenibili e locali, carne acquistata direttamente da un produttore francese rinomato per la sua eccellenza, prodotti italiani provenienti da aziende agricole locali a conduzione familiare… I due Massimo hanno messo insieme una lista impressionante. Anche il pesce è notevole. In stretta collaborazione con l’associazione Ethic Ocean, il ristorante sostiene la cosiddetta pesca “passiva”, che rispetta i periodi di riproduzione, le zone di pesca e lo stato degli stock delle specie. Questo impegno si è recentemente riflesso sui tavoli dei clienti, dove sono esposti i “suggerimenti del giorno”. Un riquadro intitolato “Specie dimenticata della settimana” permette ai clienti di scoprire un pesce poco conosciuto il cui consumo da parte dell’uomo non danneggia la sua popolazione. Il ristorante si impegna anche nella lotta agli sprechi, gestendo i rifiuti organici nel modo più efficiente possibile e riducendo l’uso della plastica nelle sue cucine. Il risultato: tutte queste iniziative sono state premiate da Ecotable e dal Food Index for Good, due indicatori affidabili dell’eco-responsabilità di un ristorante». Una certificazione che non è moda ma è precisa responsabilità sociale, che è costosa in termini economici, di impegno e di energie, ma che premia e che soprattutto aggiunge un tassello non irrilevante al concetto di ristorazione attenta che qui si cerca di incarnare.
Emporio Armani Caffè
149, Blvd. St.Germain – Paris