Da almeno sessant’anni l’esistenza di Israele è la causa pretestuosa dell’inesausta rimonta antisemita. È quella, è l’esistenza di Israele, a camuffare e rendere presentabile l’odio antisemita. È quella, l’esistenza di Israele, a far comporre la giudiziosa condanna del gesto antisemita nella puntuale cornice storicizzante dei “ma” e dei “tuttavia”. È quella, l’esistenza di Israele, a fare alternativamente tremebonda o recessiva la condanna dell’antisemitismo. È quella, l’esistenza di Israele, a nutrire il negazionismo che liquida al rango di una fungibile inurbanità la stella disegnata sulle case degli ebrei, e che indugia sulla differenza fondamentale tra decapitazione e sgozzamento e sul numero effettivo delle donne stuprate il 7 ottobre.
E si noti che l’esistenza di Israele è sempre stata la causa pretestuosa della violenza antisemita a prescindere dal fatto che a governare il Paese fosse questo o quello, e a prescindere da come il Paese è stato governato.
Questo è il motivo per cui l’antisemitismo politico, costituzionale, strutturale, risiede a sinistra, e in particolare nella sinistra comunista e post comunista. La quale è politicamente, costituzionalmente e strutturalmente incapace di assolversi dall’antisemitismo che tradizionalmente la affligge perché non ha mai risolto il proprio rapporto disturbato con l’esistenza stessa di Israele. La sinistra, e quella comunista e post comunista in particolare, è impregnata della propaganda sovietica (la stessa adoperata oggi da Mosca contro l’Ucraina) che ormai più di mezzo secolo fa contestava l’esistenza di Israele denunciandone i presunti tratti nazisti, ed è una propaganda che in vernacolo post comunista risuona nei silenzi davanti agli attentati antisemiti e nelle complessità argomentative sistematicamente tirate in mezzo quando si tratta di occuparsi non della legge elettorale israeliana, ma della bomba fatta esplodere su uno scuola bus pieno di bambini.
Spesso in piena malafede, sempre con inescusabile superficialità, quella sinistra assume il contegno presunto equanime che dice “no all’antisemitismo” mentre discute delle inappropriatezze israeliane: e quando è solo superficiale non si accorge che in tal modo si presta a quel gioco di veicolazione dell’odio antisemita, mentre quando è in malafede lo conduce spregiudicatamente, uniformandosi all’abecedario filo-terrorista che mette la rubrica “resistenza” sulla notizia di una sinagoga devastata a Seattle e sulla scena dei cortei che in nome della pace inneggiano alla caccia agli ebrei. Non a Ramallah, ma a Berlino, a Londra, a Roma, in allegra marcia democratica sulle pietre d’inciampo.
Domani assisteremo al trionfo di questo scempio, che dal 7 ottobre è andato confezionandosi in una perfezione sinora inedita e che trova in quella sinistra un elemento collaborazionista che non solo accetta, ma promuove, vagheggiamenti di soluzione finale light cannibalizzati nella giudiziosa denuncia dell’oltranza israeliana. E, l’Aia aiutando, lo spettacolo avrà anche il suo bell’addentellato di diritto. Il sigillo dell’antisemitismo democratico.