Una crisi, letteralmente, è un momento di «giudizio», un punto di svolta. La parola stessa è l’ennesimo lascito degli antichi Greci al vocabolario del mondo globalizzato di oggi. Ma in Grecia, e ovunque nel mondo si parli di Grecia, negli ultimi dieci anni il termine «crisi» ha iniziato a riferirsi, con un sottile cambiamento di significato, non piú a un momento decisivo ma a una condizione.
Parte della natura di tale condizione, nel modo in cui viene percepita, è che, una volta che ci si è dentro, nulla o molto poco può cambiare. Questa accezione si discosta fortemente dal normale significato della parola. Per questo motivo, in questo capitolo, ogni volta che si applica alla condizione della Grecia dal 2010 in poi, il termine «crisi» compare tra virgolette. In Grecia, la «crisi» è diventata uno stile di vita. Questo stile di vita è definito quasi universalmente dagli effetti di un improvviso impoverimento. Nessun altro Paese sviluppato in tempi moderni ha visto la propria economia ridursi di un quarto nel giro di cinque anni, i redditi e le pensioni subire lo stesso destino, e una disoccupazione persistente al di sopra del 25 per cento, che sale quasi al 60 per cento tra i giovani. Nel2015 hanno avuto inizio controlli sui capitali e restrizioni sui conti bancari che secondo le previsioni iniziali sarebbero dovuti durare almeno tre anni. […]
Si dice spesso che, dopo i primi anni, quando i manifestanti sono scesi in piazza, si sia instaurato un clima di disperazione e rassegnazione. Nonostante le correnti di violenza incontrollata, alimentate dalla disillusione e dalla disperazione, l’ordine civile non è venuto meno. I greci hanno trovato il modo di far fronte alla situazione. Il nucleo familiare tradizionale è la modalità piú importante. Un’altra è l’economia sommersa, basata sul denaro contante e sul baratto. Molti greci non hanno mai avuto una grande fiducia nelle banche, e per anni le procedure burocratiche di queste ultime non sono certo state concepite per attirare clienti. Non bisogna scavare troppo a fondo nella memoria popolare per trovare modi alternativi di fare affari. Chi può, parte e trova un lavoro all’estero. Ai greci è già successo; ci sono generazioni che hanno vissuto in condizioni ben peggiori nei duecento anni di storia dello Stato greco. Ciò che li aiuta a sopravvivere in questi momenti è una qualità che si può tradurre come «resistenza» o «rassegnazione paziente». Ma il fatto che siano i vecchi metodi tradizionali a permettere alle persone di andare avanti nonostante le avversità non è un segno molto incoraggiante che la Grecia e i greci siano sull’orlo della decisiva risalita che ci si potrebbe aspettare all’uscita da una «crisi».
Detto questo, ci sono degli aspetti positivi in mezzo alla tristezza. Da nessuna parte questo è piú evidente che nelle arti e nella cultura. La poesia, tradizionalmente la prima scelta per l’espressione personale in lingua greca, è fiorita dando vita a nuove forme, nuovi generi, nuovi ambienti. Alcuni tra i poeti greci contemporanei sono immigrati, bilingui nella loro lingua madre e in greco. Tutti, in modi diversi, come dice il curatore di una recente antologia in inglese, testimoniano «la dura vita che si conduce oggi in Grecia e nei Balcani», ma allo stesso tempo «offrono nuovi modi di immaginare realtà radicalmente diverse». Gli scrittori di narrativa hanno continuato ad ampliare i loro orizzonti cimentandosi sempre di piú con esperienze e situazioni lontane dalla Grecia o che coinvolgono personaggi che rappresentano l’«altro» rispetto ai greci. Forse collegata all’aumento del crimine, la narrativa poliziesca si è tardivamente affermata. Molti dei romanzi polizieschi piú venduti di Petros. […]
Alcuni dei piú importanti tra questi aspetti positivi assumono la forma di un’assenza – previsioni funeste che non si sono av-verate, almeno finora. Non c’è stata alcuna bancarotta o uscita caotica dall’Euro. Non c’è stato il crollo dell’ordine pubblico. In Grecia non sono sorti movimenti separatisti che hanno minacciano l’integrità dello Stato, come è accaduto in altre parti d’Europa negli ultimi decenni. Non c’è mai stato un equivalente dell’indipendentismo visto, ad esempio, nell’ex Cecoslovacchia, in Belgio, Spagna o Regno Unito, e nemmeno una pressione politica per una maggiore autonomia regionale. I movimenti popolari e le rivolte nella storia della Grecia moderna sono sempre stati guidati dal desiderio di unificazione. Al di là della zona metropolitana di Atene, che ospita quasi metà della popolazione del Paese, la maggior parte della Grecia possiede una forte identità regionale. Ma anche a Creta, dove questi sentimenti sono forse piú evidenti, nessun gruppo politico ha ancora presentato un programma serio per staccarsi dallo Stato greco. Questa è un’altra potenziale minaccia che finora non ha mostrato alcun segno di concretizzarsi, nonostante le nuove tensioni imposte dalla «crisi». […]
Le indagini e i sondaggi d’opinione hanno mostrato un certo calo di consensi tra gli elettori greci per la permanenza nell’UE e nell’Euro, ma ancora non c’è alcuna prova che la maggioranza preferisca andarsene. I sondaggi privati riportati alla fine del 2017 hanno mostrato un calo dal 69 per cento che desiderava rimanere al momento del referendum del 2015 al 53 per cento alla fine del 2016. Le stesse tendenze populiste e nativiste che ultimamente sono in aumento in altre parti del mondo da qualche anno a questa parte si possono osservare anche in Grecia. […]
Il sintomo piú evidente di un contraccolpo populista è la presenza di Alba dorata, che sembra essere un punto fermo nel panorama politico, con una preferenza nei sondaggi di circa il sette per cento, simile a quella di cui ha goduto il Partito comunista greco per gran parte del secolo scorso. Per lo meno, Alba dorata non cerca altro allineamento che con quelli che rivendica come antenati biologici, e in particolare con il partito militarista e antidemocratico degli Spartani. All’altra estremità dello spettro politico ci sono quelli di sinistra per i quali il vecchio richiamo dell’Unione Sovietica, e prima ancora della Russia imperiale e ortodossa, è ancora presente. È il caso della trentina di deputati di Syriza che si sono staccati dal partito per protesta contro il terzo memorandum. Per loro, cosí come per lo stesso Tsipras durante la «primavera greca» del 2015, un’alternativa seria a una «integrazione sempre piú stretta» in Europa consisteva nel far rivivere il vecchio sogno di stringere legami piú stretti con la Russia. […]
Finora, la maggior parte di queste risposte alla «crisi» hanno comportato vari gradi di introspezione o sguardo retrospettivo – se ripiegare su risorse o strategie che hanno funzionato in passato, o se rivolgersi malinconicamente verso strade mai battute. Tuttavia, c’è un aspetto della «crisi» che si ripresenta continuamente, e anche questo ha bisogno di essere espresso con delle metafore. Dal 2010 la Grecia è diventata un «banco di prova», un «laboratorio», o è essa stessa oggetto di esperimenti: una «cavia», o un animale da laboratorio. La metafora piú agghiacciante è quella del «canarino nella miniera di carbone». Lo scopo dell’uccello in gabbia nella miniera era quello di avvertire della presenza di gas velenosi che i sensi umani non erano in grado di rilevare. Se il canarino moriva, i minatori avevano il tempo di fuggire prima di essere sopraffatti. È in questo senso che la Grecia è stata messa alla prova dalle istituzioni europee e dal Fmi. La sopravvivenza stessa delle istituzioni e del sistema finanziario globale che esse a loro volta sostengono è stata messa a rischio dalla crisi finanziaria del 2008. Seguendo la logica della metafora, la Grecia era il piccolo e debole uccello canoro la cui vita poteva essere sacrificata per il bene comune.
Queste metafore e la loro costante reiterazione non sono molto lusinghiere per i greci, che tuttavia le ripetono con la stessa frequenza di chiunque altro. Il loro unico effetto è quello di rafforzare un senso di vittimismo che ha le sue radici in centinaia di anni di cultura popolare greca. La metafora migliore è quella del pioniere. Il pioniere, in origine, era un soldato a piedi inviato in anticipo rispetto alla forza principale per spianare la strada al resto dell’esercito. In questo senso, il pioniere non è poi cosí diverso dal canarino. C’è, però, una sostanziale differenza: il pioniere, anche se agisce in base a degli ordini, ha ancora un elemento umano. Può finire per perdere la vita o gli arti per proteggere i suoi compagni, ma può anche usare il suo ingegno per trovare il sentiero sicuro e guidarli. È in questo senso che il romanziere Giorgos Theotokàs, scrivendo nel 1929 all’indomani di una catastrofe nazionale ben piú grave, chiedeva «pionieri coraggiosi» per portare avanti un programma di rinnovamento culturale raggiungendo il resto dell’Europa.
Ed è qui che la «crisi» e gli anni che la seguiranno devono sicuramente presentare delle opportunità, accanto alle minacce piú ovvie. La Grecia è stato il primo Paese ad essere salvato da un «memorandum», ideato da una Troika creata appositamente per questo scopo. La Grecia è l’unico Paese ad aver affrontato il processo per tre volte. La forza delle istituzioni e la resistenza del popolo greco sono state messe a dura prova, ma alla fine l’hanno superata. L’Europa, l’Euro e l’Eurozona sono piú forti per questo, e devono ringraziare i greci che si sono assunti i rischi del pioniere per renderlo possibile.
Duecento anni fa, negli anni Venti del XIX secolo, i greci sono stati i pionieri che hanno tracciato per la prima volta il percorso che avrebbe portato dalla vecchia Europa dei grandi imperi all’Europa degli Stati nazionali che conosciamo oggi. Nessuno dovrebbe dare per scontato che la Grecia e i greci in futuro si allineeranno sempre ai valori, alle tradizioni e alla politica che tendiamo a etichettare come «occidentali». La geografia e, in parte, anche la storia potrebbero spingere nella direzione opposta. Eppure, mentre si preparano a celebrare il duecentesimo compleanno dello Stato nazionale greco nel 2021, i greci possono essere orgogliosi di un risultato che per sua natura, e fin dall’inizio, è stato conquistato non con l’isolamento, ma grazie alla collaborazione, ad ogni difficile passo del cammino, con gli altri europei. Non poteva essere altrimenti, perché la «Grecia», per quanto possa essere compresa o fraintesa, ha sempre fatto parte dell’identità moderna dell’Europa.
© 2019 Roderick Beaton © 2023 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino