Dopo la bocciatura del candidato Angelo Chiorazzo per il veto opposto da Giuseppe Conte, ieri in Basilicata, dall’interminabile telenovela del Campo largo, sembrava essere germogliata la candidatura di Domenico Lacerenza, senza però né Azione né Italia viva. Carlo Calenda denunciava infatti di essere stato tagliato fuori per obbedire a una prepotenza del Movimento 5 stelle, e ne approfittava subito per esprimere apprezzamento per il candidato di centrodestra, il presidente uscente Vito Bardi: «Un moderato europeista, un uomo delle istituzioni».
Da parte loro i cinquestelle assicuravano di non aver posto veti, ma solo l’esigenza di avere «una candidatura di elevata qualità», come quella di Lacerenza, appunto, definito «un dirigente medico di grande valore, un’eccellenza». Contro Chiorazzo, fondatore di un movimento dato in pochi mesi dai sondaggi al 15 per cento, sembrerebbe aver pesato il suo non essere, di conseguenza, abbastanza civico. In compenso, nelle sue prime dichiarazioni ai giornali, Lacerenza giurava di «non aver mai fatto politica» e di aver saputo della sua candidatura poche ore prima che venisse ufficializzata.
«Mentre uscivo dall’ospedale, come faccio tutti i giorni, dopo aver fatto otto interventi chirurgici di alta specialità, mi è arrivata la telefonata. Posso puntualizzare che io non ho fatto niente», dichiarava a Repubblica. Quindi aggiungeva: «Certo, ho delle importanti amicizie con tanti politici di quest’area, in particolare con Vito De Filippo, l’ex presidente della Regione. Forse sarà stato lui una delle figure che avrà spinto, penso». Le prime reazioni non sono state però incoraggianti, né tra i militanti della Basilicata né tra i dirigenti del Pd. I giornali di oggi riportano pure una dichiarazione di Lorenzo Guerini da Ramallah, che definisce l’estromissione dei centristi «una scelta non solo sbagliata, ma anche dannosa».
E così, sin dal pomeriggio, cominciano a «filtrare voci» su un possibile ritiro del candidato, mentre dal Partito democratico arriva la seguente nota: «Nessuna preclusione a un allargamento della coalizione di centrosinistra, continuiamo a essere unitari. Ancora una volta il Pd farà valere le ragioni dell’unità della coalizione». Insomma, si annuncia un altro tranquillo weekend di Campo largo. Ma è difficile pensare che da una riapertura del casting possano emergere candidature particolarmente credibili.
È comunque significativo che dal giorno dell’elezione di Elly Schlein a segretaria del Pd in quello che per molti è stato il trionfo della logica delle primarie, non essendo lei neanche iscritta al partito fino a poco prima di candidarsi, e avendo la maggioranza degli iscritti votato per un altro candidato (Stefano Bonaccini), di primarie non si sia più nemmeno sentito parlare. È anche degno di nota il fatto che, da quando abbiamo messo al bando partiti e professionisti della politica, i candidati della società civile sono sempre primari, accademici, magistrati di grido o grandi avvocati, luminari della medicina o del diritto. Ai tempi della deprecata Prima Repubblica, non solo non capitava mai che un privato cittadino senza alcuna esperienza in materia venisse «catapultato» alla presidenza di una Regione, come l’oculista Lacerenza, per non dire a Palazzo Chigi, come il professor Conte. Ma per la stessa ragione capitava persino che, al termine di una lunga gavetta, alle posizioni di vertice arrivasse pure qualche impiegato, operaio o ragioniere.