È un’inversione di tendenza, ed è molto chiara. Dal 2021 l’Italia è meno lontana dal resto d’Europa nell’ambito del mercato del lavoro. Si è chiuso un ciclo che durava da moltissimo tempo e che vedeva il nostro tasso di occupazione salire meno di quello europeo – o scendere di più, nei momenti di crisi. Il gap, che aveva superato il dieci per cento, contro il sei per cento medio nel 2008, è diminuito all’8,5 per cento nell’ultimo trimestre del 2023, a dispetto del generale rallentamento dell’economia italiana. Del fatto che l’occupazione vada bene, nonostante il Pil abbia ripreso a viaggiare sugli zero virgola, si è discusso e se ne discute, ma quello che è interessante è scoprire quali segmenti del mercato del lavoro se la cavano meglio, per capire cosa sta effettivamente succedendo.
Ebbene, siamo di fronte alla carica dei giovani laureati. Finalmente è il loro momento, perlomeno se ragioniamo in termini relativi. Tra la fine del 2019 e la fine del 2023 il tasso di occupazione di chi ha un titolo universitario in Italia è salito del 3,1 per cento, e se guardiamo a chi ha tra i trenta e i trentaquattro anni l’incremento è stato di ben il 5,4 per cento. Un indice superiore a quello che vale per chi si è fermato alla licenza media e per i diplomati, siano essi di tutte le età (+1,6 per cento), o trentenni (+3,1 per cento). Non solo, l’aumento è stato più che triplo di quello che ha interessato i laureati europei loro coetanei, al +1,7 per cento.
Dati Eurostat
L’età dai trenta ai trentaquattro anni è particolare perché a quel punto ormai tutti, anche i ritardatari, hanno terminato gli studi, in cui si inizia a mettere su famiglia e in cui le donne, soprattutto le lavoratrici, decidono di avere figli. È un momento delicato, in cui da sempre l’Italia arrancava dietro al resto d’Europa. Ora questo divario si sta riducendo. Il divario si riduce ancora di più tra i ventenni e per la fascia che include i trentacinquenni fino ai trentanovenni. Tra questi ultimi, in quattro anni la percentuale dei laureati con un impiego è cresciuta in Italia del 6,4 per cento mentre in Ue e solo dell’1,2 per cento. Anche tra i ventenni, compresi quelli che non hanno completato gli studi o frequentato l’università è evidente. L’aumento dei lavoratori cinquantenni e sessantenni invece è rallentato, e il tasso cresce più velocemente in Ue.
Dati Eurostat
Certo, la media del tasso di occupazione in Italia è ancora distante dal resto dell’Ue: in Italia, per giovani tra i venticinque e i ventinove anni l’indice è del 64,6 per cento, mentre nell’Unione raggiunge il 77,4 per cento. Per i cittadini tra i trenta e i trentaquattro anni, il tasso all’81,8 per cento europeo scende nostro Paese al 73,8 per cento. L’Italia, però, fa parte di quel gruppo di Stati dove sono cresciuti oltre la media non sono solo i numeri che riguardano l’occupazione complessiva, ma anche e soprattutto i laureati. Questo ristretto gruppo comprende, oltre all’Italia, anche Grecia, Polonia, Irlanda, Croazia, Ungheria, Slovacchia e, di poco, anche Francia e Portogallo. In Germania invece, per esempio, i dati sul tasso di occupazione sono o migliorati sotto la media o, nel caso specifico dei laureati, addirittura peggiorati. Per i trentenni il club si restringe ancora e comprende, oltre a noi, solo alcuni Paesi dell’Est Europa, come Ungheria, Slovacchia, Croazia, Estonia e Polonia – di poco –, oltre che la Spagna.
Dati Eurostat, dimensioni delle bolle proporzionali al tasso di occupazione
È un miglioramento che deriva naturalmente dal livello precedente dell’occupazione particolarmente basso dell’occupazione, incluso quello di chi aveva studiato di più, e che riguarda certamente la crisi demografica, visto che oggi ventenni e trentenni costituiscono una piccola parte della popolazione e sono, anche solo per questo, più richiesti. È poi un miglioramento double face, perché è influenzato sia dal rafforzamento del settore edilizio, che ha reso necessario l’impiego di giovani stranieri e italiani senza alti titoli di studio, sia della crescita di alcuni servizi avanzati, come il settore dell’informazione e della comunicazione e delle attività professionali, scientifiche e tecniche. Ecco perché per i laureati le cose sono andate ancora meglio.
Il lavoro femminile è stato il maggiore beneficiario in questo contesto. Già quindici anni fa, a fine 2008, tra gli occupati con un titolo universitario le donne superavano gli uomini, due milioni e ottantaquattromila, contro un milione e novecentosettantaseimila. Il gap è poi ulteriormente cresciuto. Se ne parla poco, ma se lavorassero solo i laureati avremmo più donne che uomini occupati. In sostanza, su cento occupati oggi 14,6 sono donne con titolo universitario, contro le 9,1 di quindici anni fa. Per nessun altro segmento si è verificato un aumento simile.
Dati Eurostat
Tra fine 2008 e fine 2023 sono entrate nel mondo del lavoro circa un milione e quattrocentomila lavoratrici laureate, soprattutto giovani, con un’accelerazione negli ultimi anni. Dal 2019, infatti, il loro è stato il più importante contributo all’aumento dell’occupazione. Sono state le cinquecentoseimila donne laureate in più nel mercato del lavoro ad avere reso possibile un incremento netto di seicentocinquantacinquemila addetti, tra dipendenti e autonomi.
Dati Eurostat
Anche in alcuni dei trimestri più duri per la nostra economia, tra 2020 e 2022, è stata questa l’unica componente a crescere, al punto che a fine 2023 la crescita delle lavoratrici laureate è stata del diciassette per cento, contro un aumento inferiore al cinque per cento dei diplomati.
Dati Eurostat
Certo, in un Paese come il nostro, in cui chi ha completato gli studi universitari è ancora parte di una piccola minoranza, e in cui il tasso di occupazione femminile è ancora così inferiore alla media europea, non basta. Due terzi delle donne occupate ha un diploma o un titolo inferiore, e per loro si è verificato un calo sul mercato del lavoro o, se parliamo di diplomate, l’aumento è stato inferiore a quello degli uomini. C’è il pericolo di un progresso a più velocità, con una parte crescente ma ancora minoritaria della popolazione, specie quella femminile, che nel mercato del lavoro non fa fatica a trovare un posto ed è sempre più richiesta e una parte che rimane ai margini, più o meno come prima. Però dobbiamo dirlo, nonostante tutti i caveat che non sono trascurabili anche davanti a dati così positivi, un effetto fondamentale questi numeri lo sortiscono: dicono a tutti, e soprattutto ai giovani, che studiare certamente conviene.