Correva l’anno 2009 quando il Council for Science and Technology, un organo consultivo del governo britannico, pubblicò una relazione dal titolo “Un’infrastruttura nazionale per il XXI secolo”. Si trattava di un rapporto sulle principali questioni che affliggevano all’epoca la produttività e le infrastrutture britanniche essenziali per sostenere la crescita economica, per attrarre imprese mobili a livello globale nel Paese e promuovere il benessere sociale.
Lo studio evidenziava l’enorme fragilità del sistema di infrastrutture britanniche davanti alla sfida del cambiamento climatico, tanto da arrivare a ipotizzare – come ha ricordato anche il ricercatore inglese James Bridle nel suo “Nuova era oscura” (Nero Editions 2019) – una enorme difficoltà nell’adattamento delle infrastrutture dell’epoca a eventuali danni e rotture a causa di allagamenti o fusione in caso di temperature estremamente elevate.
Tutti i manufatti, del resto, erano e sono interconnessi e interdipendenti e si connettono a ogni utente con dinamicità in tempo reale: una connessione che dà valore alla infrastruttura. I dati digitali vengono trasmessi, ricevuti e convertiti in tempo reale, ad esempio quando preleviamo in uno sportello bancomat o quando paghiamo direttamente con una carta di credito fisicamente oppure online, ma anche quando mandiamo una email, chattiamo o affidiamo ai social i nostri pensieri.
E allora sorge spontaneo chiedersi: ma cosa accadrebbe se in Italia andassimo incontro a un vero e proprio blackout di questo tipo, soprattutto se durasse per giorni? Se la connessione è totale, di fatto, ci troveremmo senza poter comunicare via telefono, smartphone, computer. L’It Alert con cui un po’ alla volta ci siamo esercitati lo scorso anno a gestire la comunicazione in caso di disastro geologico (ma non solo) non funzionerebbe, e questo significherebbe perdere anche vite umane. Ospedali, scuole, istituzioni andrebbero letteralmente in tilt, e non solo per un giorno. E noi, ormai dipendenti dalla tecnologia, non saremmo in grado di cavarcela senza questo tipo di strumenti. Un po’ come accade nel film “Il mondo dietro di te” con Julia Roberts.
Mariarosaria Taddeo, professoressa di Digital ethics and defence technology presso l’Oxford Internet Institute, ha delineato il possibile scenario di un tale disastro: «Le società digitali sono robuste quanto la tecnologia da cui dipendono. Il digitale è una tecnologia vulnerabile di per sé, quindi partiamo un po’ in salita. Il blocco di Internet, non solo del web ma anche di reti intranet o di accesso a servizi cloud, non è un rischio remoto. Ci sono stati casi di internet outage (l’interruzione di internet, ndr). Il digitale, che spesso consideriamo immateriale, è invece una tecnologia che dipende moltissimo dalle condizioni dell’ambiente in cui opera: necessita di basse temperature (e quindi energia per raffreddare i server) e di elettricità per funzionare».
Secondo l’esperta, «il caso della Sicilia dello scorso anno – anche se basterebbe leggere i report sui consumi energetici dei server di qualsiasi azienda che fornisca servizi cloud – ci ricorda che per crescere e prosperare le società digitali devono vincere la sfida della sostenibilità ambientale. Approcci di governance miopi in questo senso si rivelano presto fallimentari».
Andando oltre il panico dovuto a un’eventualità del genere, la studiosa si è soffermata su due lati pratici ma emblematici: «Il primo è che un arresto di internet avrebbe un effetto sistemico sulla società, non solo in termini di accessi a servizi ma con ricadute in vari settori. Per esempio, l’incidente di Google nel 2009 costò tra i due e i tre milioni di dollari in pubblicità, e durò solo pochi minuti. Possiamo immaginare le ricadute sull’economia nazionale o anche Europea se internet, non solo un motore di ricerca, rimanesse spento per qualche giorno».
Il secondo aspetto, conclude Taddeo, «riguarda il ruolo dei fornitori di servizi internet e dei governi, perché le piattaforme digitali (dai cavi ai social media) sono le infrastrutture delle nostre società. Per questo motivo è fondamentale assicurarne la resilienza, che in molti casi va di pari passo con la modernità della tecnologia. Servono investimenti: la sicurezza è sia fisica sia informatica. Queste sono responsabilità che devono essere chiaramente definite, e supportate, con piani strategici dai decisori politici, specificando per esempio misure di contenimento e di backup, standard per i consumi, standard di sicurezza, e assolte con trasparenza dai provider». Abbiamo provato a chiedere chiarimenti e aggiornamenti via mail al ministero delle Infrastrutture, ma non abbiamo ricevuto risposta.