Nonostante le istituzioni internazionali abbiano dimostrato di non aver preso sul serio la rivoluzione nata sulle note dello slogan “Donna, Vita, Libertà”, noi donne iraniane non smetteremo di lottare. Pochi giorni fa in Iran ha avuto luogo l’ennesimo episodio di violazione dei diritti delle donne. Di una madre, in particolare.
In un video diventato virale vediamo un Mullah, cioè un religioso musulmano, filmare una giovane madre che sta allattando il figlio nella sale d’attesa di un ospedale prima di una visita. Quando la donna se ne accorge, tenta di farsi mostrare e di controllare il video girato dall’uomo. Scatta un pesante litigio, ma la donna, nonostante le urla e l’indifferenza degli altri presenti, non desiste e trattiene il religioso finché questo non perde la veste e fugge. La scena è scandalosa sotto tanti aspetti: si hanno, nell’ordine, una violazione della privacy, una violazione dei diritti di una madre che deve allattare il figlio, la passività dei testimoni e il potere esercitato dai sostenitori del regime.
Purtroppo le femministe italiane, evidentemente troppo prese a difendere solo le donne di Gaza, hanno totalmente ignorato questo episodio, come hanno fatto con moltissimi altri che ogni giorno avvengono in Iran.
Questo video circola sui social, con annessi commenti, mentre proprio oggi, 11 marzo, Ensieh Khazali, la vicepresidente iraniana per gli Affari delle donne e della famiglia nel tredicesimo governo, parteciperà alla riunione della Commissione delle Nazioni Unite sullo Status delle Donne per presentare una conferenza sulla condizione delle donne iraniane a livello sia nazionale sia internazionale in ambito sociale, culturale, sportivo e non solo.
Mentre in Iran, dal 1979 e in particolar modo dal 16 settembre 2022 – dopo che Mahsa Jina Amini è stata uccisa per non aver indossato il velo correttamente – le donne lottano per i loro diritti e per la loro libertà al costo di essere oppresse, arrestate, torturate, stuprate, avvelenate e uccise, dobbiamo vedere Khazali mentre indossa un chador nero, senza rappresentare assolutamente le sue concittadine, arrivare negli Stati Uniti, per quale motivo? Per «parlare della condizione delle donne iraniane». Donne che, ripetiamo, non rappresenta.
Alla coraggiosa attivista persiana Narges Mohammadi, che ha messo in luce ancor di più la situazione in Iran e ha chiesto alle Nazione Unite di dichiarare l’apartheid di genere un crimine contro l’umanità, si consegna il Premio Nobel per la pace del 2023. Però allo stesso tempo si accetta che Khazali si spacci per rappresentante delle donne del suo Paese.
Le istituzioni internazionali devono smettere di prendersi gioco degli iraniani, e prendere invece una posizione chiara a riguardo. Non possono continuare con questo doppiogiochismo. Non si può tollerare e accettare la criminalità e la violenza e contemporaneamente premiare la pace e la lotta per la libertà.
Probabilmente le istituzioni risponderanno: «Non si può impedire neanche a Khazali di dire e fare la sua parte perché sarebbe antidemocratico». Ma la risposta di noi donne che lottiamo proprio per la democrazia è: «La democrazia e la libertà si avranno solo nel momento in cui la libertà e la dignità di ogni persona non verranno più violate».