Più Europa, meno gnè-gnè A futura memoria (se i liberaldemocratici avranno un futuro)

Un sondaggio fotografa esattamente l’errore strategico del Pd e la favolosa occasione che i partiti antipopulisti si apprestano a sprecare

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Un sondaggio Euromedia per Porta a Porta l’altro ieri sera dava il Partito democratico di Elly Schlein al diciannove per cento, al minimo storico alle Europee (nella precedente tornata, il Pd con Renzi e Calenda a bordo prese il 22,7, mentre cinque anni prima con Renzi a Palazzo Chigi superò addirittura il quaranta, e da lì cominciarono i guai).

Il misero orientamento di voto per Elly Schlein non stupisce ed è perfettamente comprensibile, avendo la giovane segretaria cancellato lo spirito originario del Pd e trasformato il partito che fu a vocazione maggioritaria in un comitato di istanze studentesche, identitarie di calco americano e genericamente minoritarie, il cui effetto nelle urne sarà ancora più deflagrante se saranno confermate le indiscrezioni sulle liste del 9 giugno guidate da neutralisti rispetto a Putin, anticapitalisti verdi, anti occidentali rossi e reazionari cattolici.

Le altre conseguenze di questa politica volta a costruire non più «l’uomo nuovo», ma più modestamente «il nuovo profilo non binario su Instagram», sono la garanzia pressoché totale che la destra anche estrema perderà solo se si farà male da sola, e la tenuta degli alleati strategici dei Cinquestelle (al 17,5 per cento), perché è ovvio che se il Pd si appiattisce sulle posizioni di Giuseppe Conte il primo a beneficiarne è Conte, non il Pd.

Meno prevedibile, invece, è la rilevazione sull’area cosiddetta dell’ex Terzo Polo allargato a PiùEuropa e ad altre formazioni liberal-democratiche minori. Il gruppo Renzi-Bonino è dato al 4,8. Calenda al 4,1 per cento. Cioè l’area più litigiosa e politicamente inaffidabile del pianeta, nonostante le contumelie e il cedimento strutturale di ogni forma di fiducia, oggi sarebbe all’8,9 per cento. Quasi il nove per cento, più di un miracolo, considerando l’assenza anche solo di uno straccio di disegno politico comune, nemmeno tra Renzi e Bonino che correranno insieme in una lista di scopo, e un livello di diffidenza reciproca da fogliettone di cappa e spada.

Questo vuol dire che se gli occupanti l’area ragionevole dello spettro politico italiano la smettessero di fare gli adolescenti, o se facessero uno, dieci, cento passi indietro, e si dotassero di un serio progetto per l’alternativa al bipopulismo, avrebbero un bacino potenziale da secondo polo, non da terzo, con cui poi convincere il Pd a tornare a essere un partito riformista invece di un’assemblea universitaria che scimmiotta il radicalismo americano che perfino Alexandra Ocasio Cortez, maturando, ha messo da parte.

Liberali e liberal, con socialisti riformisti e cattolici adulti, tutti insieme, potrebbero contendere la vittoria alla destra. Invece, il Pd insegue i populisti, e i partiti dell’area Draghi si presenteranno alle Europee con due liste separate, entrambe potenzialmente in grado di oltrepassare lo sbarramento del quattro per cento, come Linkiesta si augura e come lascia intendere il sondaggio di Porta a Porta, ma anche con buone probabilità che a Bruxelles approderà soltanto una delle due, come suggerisce invece la rilevazione di Masia di ieri che dà Bonino e Renzi al 5,8 e Azione al 3,4. Senza considerare la non del tutto remota possibilità, specie se i contendenti continueranno a farsi stupidamente la guerra, che le due liste possano annullarsi a vicenda e fragorosamente fallire entrambe. Bingo!

La scelta giusta sanno tutti, o quasi tutti, quale dovrebbe essere, ma non la faranno perché Renzi va in Arabia Saudita, Calenda cambia idea, Bonino pensa solo a sé stessa e altre stringenti motivazioni. L’articolo che state leggendo sarà per questo interpretato dai protagonisti come un affronto personale, come un pretesto per poter scaricare vagonate di rancore l’uno sugli altri, malgrado i sondaggi dimostrino che queste reazioni puerili incredibilmente non scalfiscono la pazienza degli elettori d’area. Del resto, se gli elettori sono ancora qui nonostante lo spettacolo deprimente cui sono costretti ad assistere, vuol dire che sono rotti a tutto, perfino a sopportare Renzi, Calenda e Bonino, e a tollerare nella stessa lista unitaria sansepolcristi grillini come Federico Pizzarotti e democristiani come il genero di Cuffaro, e chissà quali altri personaggi di analoga levatura spunteranno da qui alle elezioni.

Pizzarotti è l’ex sindaco cinquestelle di Parma nonché il presidente non radicale di PiuEuropa che non vuole candidarsi con Renzi, ma preferisce Calenda, per la nobilissima ragione, riferitami da azionisti autorevoli, che contro i renziani perderebbe la gara delle preferenze e non sarebbe eletto a Bruxelles, mentre contro i candidati di Azione è convinto di potercela fare. Una scelta di legittima convenienza più che etica o morale, che semmai dovrebbe far riflettere i calendiani.

Il genero di Cuffaro, invece, è l’ex sindaco di Agrigento Marco Zambuto, secondo alcune indiscrezioni candidato renziano in Sicilia. La nuova Dc di Cuffaro c’entra poco o niente col progetto liberal-democratico di Renew, su questo Calenda ha ragione, visto che i democristiani appartengono a un’altra famiglia politica europea, anche se in questo momento, e probabilmente anche dopo il voto di giugno, a Bruxelles i popolari sono alleati sia con i socialisti sia con Renew di Macron.

Ma, in ogni caso, se il genero di Cuffaro ha già partecipato da candidato europeo del Pd al favoloso 40 per cento di Renzi del 2014 con i suoi 65 mila voti, e più recentemente è stato elevato a simbolo della giustizia ingiusta proprio da Azione, non si capisce quale sarebbe il problema di una sua eventuale candidatura né per quale motivo le colpe del suocero, peraltro già espiate, dovrebbero mandare tutto a carte quarantotto.

I sondaggi, insomma, confermano che gli elettori dell’area liberaldemocratica e socialista liberale se ne infischiano di queste miserie e dei leader che si detestano personalmente, vogliono semplicemente essere rappresentati da chi si mobilita per la difesa europea, da chi denuncia gli attacchi russi, da chi si batte per l’allargamento a Est dell’Unione e da chi si preoccupa del crescente antisemitismo globale.

In fondo, questi elettori si accontentano di molto poco, del minimo sindacale: di vedere gli atlantisti, gli europeisti, i repubblicani, gli antitotalitari e i liberali di Renew tutti insieme contro l’imperialismo russo e uniti contro i populisti e gli estremisti di destra e di sinistra. Ma è così difficile da capire?

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