La Rubymar era una nave mercantile britannica che trasportava fertilizzanti. Usiamo l’imperfetto perché sabato 2 marzo si è inclinata sul fianco sinistro ed è sprofondata nel mar Rosso. Circa due settimane prima, più precisamente il 18 febbraio, era stata colpita da un missile balistico sparato dagli Houthi, gruppo armato yemenita che da mesi sta attaccando le imbarcazioni commerciali che transitano in quelle acque. Il risultato è una crisi che, oltre a una escalation militare, potrebbe innescare anche gravi conseguenze energetiche.
Da qualche giorno, quindi, in fondo al mar Rosso si trova una nave con ventimila tonnellate di fertilizzante a base di nitrato di ammonio e altre sostanze chimiche impiegate nel settore agricolo. I rischi per l’ecosistema marino sono enormi. La loro fuoriuscita dallo scafo della Rubymar causerebbe «una catastrofe ambientale», per usare le parole usate dai rappresentanti del governo yemenita in un comunicato stampa. La Djibouti Ports & Free Zones Authority, l’ente governativo di Gibuti che ha coordinato le operazioni di salvataggio dell’equipaggio della Rubymar, ha classificato come «molto pericoloso» il fertilizzante a bordo. Secondo Wadah Al-Madhaji, direttore del dipartimento della Pesca della provincia yemenita di Taiz, «riprendersi dalla contaminazione chimica sarà molto difficile, soprattutto per lo Yemen e i Paesi vicini con scarse capacità scientifiche e tecnologiche».
Julien Jreissati, direttore dei programmi di Greenpeace in Medio Oriente e Nord Africa, ha detto che la contaminazione delle acque con le sostanze chimiche presenti nella nave «potrebbe sconvolgere l’equilibrio del mar Rosso, innescando effetti a cascata lungo tutta la catena alimentare». In questa storia bisogna anche considerare la “fuga” dai motori del carburante, pericoloso per la fauna marina anche nel breve periodo. Poco dopo l’attacco degli Houthi, infatti, la Rubymar ha sprigionato una scia di olio combustibile che ha raggiunto un’estensione di trenta chilometri. Nei giorni successivi ha imbarcato acqua ed è infine affondata.
Per mitigare i danni ambientali ed economici, Jreissati di Greenpeace ritiene assolutamente necessario un «accesso immediato al luogo del naufragio per attuare un piano di emergenza». Si tratta però di un’ipotesi utopica, alla luce degli squilibri e delle tensioni nella zona. Secondo Al Jazeera, infatti, il gruppo armato yemenita – che controlla diverse porzioni del Paese arabo – non ha intenzione di fermarsi: «Lo Yemen continuerà ad affondare altre navi britanniche, e ogni rappresaglia sarà aggiunta al conto della Gran Bretagna. È uno Stato canaglia che attacca lo Yemen e collabora con gli Stati Uniti per sponsorizzare i crimini in corso contro i civili a Gaza», sono le parole di Hussein al-Ezzi, viceministro degli Esteri del governo guidato dagli Houthi.
Sarà difficile calcolare con esattezza i danni ambientali dovuti all’affondamento della Rubymar, salpata dagli Emirati Arabi Uniti e con i carichi diretti in Bielorussia. Secondo i tecnici, infatti, la contaminazione delle acque con il fertilizzante avverrà lentamente, senza rilasci massicci, immediati e visibili “a occhio nudo”.
«Ci sono diversi modi in cui lo scafo si può danneggiare mentre va a fondo. Al di là di questo incidente, considerando la minor presenza di navi portacontainer da prendere di mira, le probabilità di un altro sversamento con un grosso impatto ambientale continueranno ad aumentare», ha detto Ian Ralby, fondatore della società di sicurezza marittima I.R. Consilium, in un’intervista rilasciata all’Associated Press. L’esperto ha dato praticamente per certa la fuoriuscita dei fertilizzanti, anche se l’imbarcazione dovesse rimanere pressoché intatta – senza grosse spaccature nello scafo – sul fondale marino.
Se l’incidente si fosse verificato, ad esempio, nell’oceano Atlantico, i danni sull’ecosistema marino sarebbero stati meno gravi. Il mar Rosso, con la sua forma allungata e il suo stretto sbocco sul mar Arabico (parte dell’Oceano indiano), ha però delle caratteristiche e delle correnti molto particolari. Ralby ha spiegato che funziona essenzialmente come una gigantesca laguna: l’acqua si dirige verso nord (Canale di Suez) durante l’inverno e verso il golfo di Aden in estate, quindi – avverte l’esperto – «ciò che in questi mesi si riversa nel mar Rosso, rimane nel mar Rosso».
Le conseguenze rischiano di rivelarsi molteplici, ma sono ancora difficili da inquadrare nello specifico. L’olio combustibile potrebbe danneggiare gli impianti di desalinizzazione dell’Arabia Saudita, intasando i sistemi di aspirazione. Sono in pericolo anche i prodotti ittici, fondamentali per lo Yemen sia come sussistenza immediata, sia nelle esportazioni.
Come anticipato, i timori ruotano soprattutto attorno ai fertilizzanti, che causerebbero un sovraccarico di nutrienti in grado di stimolare la crescita eccessiva di piccole alghe; la “nuova” vegetazione, oltre a diffondere batteri, assorbirebbe enormi quantità di ossigeno, rendendo sempre più complessa la sopravvivenza dei pesci. Secondo Ali Al Sawalmih, direttore della stazione di scienze marine dell’Università della Giordania, è un fenomeno riconducibile all’eutrofizzazione, ossia un processo degenerativo delle acque indotto dalla presenza anomala di sostanze a effetto fertilizzante.
L’impatto rischia di sconvolgere l’intero habitat marino del mar Rosso, spesso definito «l’ultimo rifugio corallino del mondo». Circa il cinque per cento dei coralli del Pianeta – particolarmente resistenti all’aumento delle temperature – si trova infatti in queste acque, ma il fertilizzante rilasciato dalla Rubymar potrebbe in parte danneggiarli.