A leggere i giornali non è facilissimo capire esattamente cosa cambi, ammesso che cambi davvero qualcosa, con il nuovo Patto su migrazione e asilo approvato ieri dal Parlamento europeo, dopo ben otto anni di trattative, e molti di più passati a ripetere, perlomeno in Italia, che occorreva cambiare il trattato di Dublino. Nel merito si tratta di una riforma che suscita da un lato le proteste dei sovranisti, perché impone a tutti i paesi membri una scelta tra accettare i ricollocamenti dei migranti o sostenere finanziariamente i costi dell’accoglienza (in pratica una multa da 20 mila euro a migrante); dall’altro le proteste delle ong e della Chiesa, perché prevede procedure accelerate di identificazione alle frontiere e nei cosiddetti paesi terzi, allargando quel modello di esternalizzazione dei controlli e della gestione del problema che il nostro governo vuole replicare con l’Albania.
In pratica, secondo la Stampa, il nuovo patto introduce più rigidi controlli alle frontiere e corregge, ma non supera, le regole di Dublino: la responsabilità resta in capo ai paesi di primo ingresso, anche se addolcita dall’introduzione del concetto di «solidarietà obbligatoria, ma flessibile».
Secondo Repubblica «per l’Italia cambia poco, e se possibile in peggio» perché l’onere dell’accoglienza e della gestione delle richieste di asilo resta in capo al paese di primo approdo, anche più a lungo di prima. Sta di fatto che ieri, quando le nuove regole sono state approvate con il voto favorevole di Ppe e Pse (entreranno in vigore tra due anni, dopo lo scontato via libera del Consiglio Ue previsto per fine mese), i partiti italiani si sono divisi in modi bizzarri, sia rispetto ai propri schieramenti europei sia rispetto ai propri alleati italiani.
Contro hanno votato infatti, per ragioni opposte, sia il Pd (in dissenso dal Pse) sia la Lega (e anche il M5s, di cui però è più arduo ricostruire le motivazioni, avendo assunto in questi anni, sul tema, praticamente tutte le posizioni possibili). Particolarmente ampio il ventaglio di scelte offerto dai nostri partiti di governo, con il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini impegnato a denunciare una proposta che «non risolve in alcun modo il problema dei flussi illegali, lasciando sola l’Italia ancora una volta» (motivazione peraltro assai simile, a riprova di quanto si diceva poche righe fa, a quella di Giuseppe Conte, secondo cui l’accordo «lascia sola l’Italia») mentre il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi (peraltro in quota Lega) sostiene che «il nuovo Patto garantirà frontiere esterne più sicure, procedure rapide ed efficienti per l’asilo, espulsioni più veloci, una maggiore solidarietà nei confronti dei paesi di primo ingresso».
Riassumendo, a due mesi dal voto europeo, sul fondamentale tema dell’immigrazione, la coalizione di governo esprime quella che nel totocalcio si chiamerebbe una tripla: 1×2. Lega contraria, Forza Italia favorevole, Fratelli d’Italia dipende (ma più sì che no, avendo votato a favore di sette articoli su nove). Contrarissimi gli ungheresi dell’amico Viktor Orbán e quasi tutti i principali partiti sovranisti del gruppo Ecr (il partito presieduto proprio da Meloni), a cominciare dai polacchi del Pis. D’altra parte, hanno votato contro anche i loro connazionali del Ppe, guidati dal nuovo premier, europeista e liberale, Donald Tusk. Ma non è meno significativo il dissenso del Pd dal gruppo socialista (a cominciare dagli spagnoli del presidente Pedro Sánchez, pure tante volte preso a modello), a riprova che sull’immigrazione non è possibile tracciare linee di demarcazione coerenti, né tra destra e sinistra, né a livello nazionale, e nemmeno semplicemente tra paesi di primo approdo e paesi destinatari dei cosiddetti movimenti secondari. Forse perché l’immigrazione, come sosteneva qualche giorno fa Janan Ganesh sul Financial Times, fa parte di quei problemi di cui si discute sempre senza mai arrivare a una soluzione non per incapacità dei politici, ma perché una soluzione pronta e praticabile semplicemente non c’è. Non vorrei però che questa amara costatazione finisse per diventare un alibi per accettare qualunque atrocità. Nel dubbio, quelle famose radici e quei famosi valori europei di cui si parla spesso a sproposito dovrebbero pur fornire una qualche bussola. Altrimenti, a che servono?
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