Disinteresse umanitarioQuelli che criticano la reazione di Israele, ma non la mattanza di Hamas

L’inizio delle probabili operazioni militari a Rafah porta con sé le accuse, legittime, ai metodi del governo Netanyahu. Possibile però che nessuno riconosca il ruolo in questa tragedia dei terroristi che comandano a Gaza e usano i civili come scudi umani?

AP/Lapresse

Esattamente come fu per quelle dell’anno scorso, cominciate dopo gli eccidi del 7 ottobre mentre ovunque se ne denunciavano gli intenti genocidiari, si va verso l’inizio delle probabili operazioni militari a Rafah nel clima di incolpazione che preconizza gli imminenti massacri e il disastro umanitario che aggraverebbe ulteriormente la situazione di moltitudini spossate.

C’erano allora due modi di protesta e contestazione, due argomenti di opposizione, nella disponibilità di chi ripudiava l’ipotesi della reazione israeliana. E così, identicamente, oggi, per questa evoluzione a sua volta temibilmente tragica.

Il primo era il modo legittimo, l’argomento non indiscutibile ma degnissimo, con il quale si chiedeva a Israele di non fare quella guerra agli autori e ai mandanti del Sabato Nero sterminatore perché essi avrebbero usato i corpi di due milioni di uomini, donne e soprattutto bambini come sacchi di sabbia a difesa delle armi e dei tunnel costruiti con i soldi delle tirannie e della cooperazione internazionale. E questo argomento non l’ha adoperato praticamente nessuno. Nessuno ha detto a Israele di non fare la guerra a quelli che vogliono distruggerlo perché quelli che vogliono distruggerlo avrebbero usato quell’esercito di inermi. Nessuno ha detto a Israele che i macellai avrebbero offerto al macello anche i propri figli, innanzitutto i propri figli e che dunque, per quanto fosse giusto e doveroso reagire, Israele avrebbe dovuto farsi carico dell’enorme onere supplementare di salvare dai macellai le famiglie e i figli dei macellai. Nessuno ha chiesto a Israele il sacrificio di sopportare il pericolo effettivo, urgente, micidiale di lasciare in vita e nella possibilità di azione decine di migliaia di stragisti, di sgozzatori, di stupratori con la motivazione che quel sacrificio, un sacrificio che a nessun altro Stato si richiede, un sacrificio che a nessun altro popolo si impone, avrebbe risparmiato la vita di molti innocenti.

Israele avrebbe avuto il diritto di respingere questo richiamo, questo appello probabilmente irrealistico ma, appunto, provvisto di degne motivazioni. E chi avesse fatto quell’appello, e l’avesse visto respinto, del tutto legittimamente avrebbe potuto accusare Israele di una noncuranza inescusabile.

Un altro è invece il modo che si è adoperato per contestare l’inizio delle operazioni militari a Gaza, ed è quest’altro modo che si ripropone da settimane in vista della prosecuzione a Rafah di quelle operazioni. È il modo dei mascalzoni e della stampa che pubblica notizie false. È il modo del giornalismo negazionista che censura ogni verità disagevole mentre spaccia ogni verità inventata, sapendo che è inventata. Si tratta di quelli per cui i civili di Gaza non contano nulla, se non per imputarne la morte allo Stato terrorista. Quelli per cui i morti negli ospedali di Gaza hanno un valore perché i soldati israeliani li hanno uccisi, non perché i terroristi si sono mischiati con loro.

Quelli per cui la scuola distrutta ha un valore perché una bomba israeliana l’ha colpita, non perché i miliziani ne hanno fatto un bunker. Quelli per cui una moschea ridotta in macerie ha un valore perché l’Idf l’ha messa nel mirino, non perché conteneva una rampa di lancio. Quelli per cui gli ostaggi israeliani hanno un valore quando sono tre, uccisi un giorno per errore dagli israeliani, non quando sono centinaia, uccisi, torturati, stuprati per mesi dai rapitori la cui reputazione è difesa dai pacifisti che strappano i volantini con le immagini degli uomini, delle donne e dei bambini portati via dalle belve di Hamas. Quelli per cui i bambini nelle scuole di Gaza hanno un valore perché un tank israeliano li colpisce, non perché sotto la cattedra c’è un sotterraneo pieno di razzi né perché lì dentro imparano la bellezza del martirio ascoltando la lezione dell’insegnante pagato con i soldi dell’Unrwa.

Sono questi, gli amici maggioritari della causa palestinese. Questi, i difensori della pace e del superiore interesse umanitario. Questi, solidali con l’infanzia di Gaza bombardata, ma intransigenti nel lasciarla libera e padrona di un futuro di miseria e cinture esplosive.

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