Annoverare l’accesso legale e sicuro all’aborto tra i diritti fondamentali riconosciuti – e tutelati – dall’Unione europea. Con una risoluzione dal valore fortemente simbolico adottata a larga maggioranza giovedì 11 aprile, l’Europarlamento ha chiesto (nuovamente) di inserire l’accesso all’interruzione volontaria della gravidanza nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Ma ci sono scarse possibilità che questo voto, che somiglia molto a una manovra elettorale, produca effetti concreti immediati.
Con trecentotrentasei voti favorevoli, centosessantatre contrari e trentanove astensioni, gli eurodeputati hanno approvato una risoluzione non legislativa che avevano discusso in Aula lo scorso 14 marzo, con la quale chiedono di riaprire la Carta europea dei diritti per inserirvi anche quello all’interruzione volontaria della gravidanza (Ivg), in modo garantire questo trattamento medico a tutte le donne di tutti i Paesi dell’Unione.
La mozione, che ha visto schierarsi compatti, sul fronte del no, i partiti italiani di maggioranza, chiedeva agli Stati membri di impegnarsi a depenalizzare completamente l’aborto (in ottemperanza alle linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità) e, soprattutto, di rimuovere concretamente gli ostacoli che ancora troppo spesso rendono difficile (se non impossibile) l’accesso all’Ivg. È quello che avviene, ad esempio, in alcune regioni italiane: nel nostro Paese l’obiezione di coscienza è riconosciuta dalla Legge 194, e secondo i dati aggiornati al 2022 sul territorio nazionale ci sono trentuno strutture sanitarie dove il totale del personale medico è obiettore.
Tra i desiderata del Parlamento c’è anche l’inclusione di moduli sull’aborto nei corsi universitari di medicina e di educazione ai diritti sessuali e riproduttivi tra i banchi di scuola, nonché il divieto alle associazioni pro-vita di percepire fondi europei.
La Carta è un documento che, come suggerisce il nome, costituisce una sorta di compendio di tutti i diritti fondamentali riconosciuti a livello comunitario. Dei cinquantaquattro articoli da cui è costituita, con la proposta dal Parlamento si modificherebbe l’articolo 3, che dopo le modifiche sancirebbe «il diritto all’autonomia decisionale sul proprio corpo, all’accesso libero, informato, completo e universale alla salute sessuale e riproduttiva e ai relativi servizi sanitari senza discriminazioni, compreso l’accesso all’aborto sicuro e legale» per i cittadini europei.
Per Brando Benifei, capodelegazione del Partito democratico a Strasburgo intervistato da Linkiesta, quello di ieri è stato «un voto utile e necessario perché va nella direzione giusta», ossia verso un «avanzamento dei diritti fondamentali come quello all’aborto, che corrisponde al diritto inalienabile delle donne di poter decidere sul proprio corpo». Sulla stessa linea anche la vicepresidente dell’Aula, Pina Picierno, che sottolinea a Linkiesta l’importanza di un voto che «segna un punto di non ritorno nella discussione sui diritti delle donne, sulla salute riproduttiva e sulla libertà di scelta», tramite cui l’emiciclo ha voluto «ribadire che la libertà delle donne deve essere sempre garantita, e che negarci la possibilità di decidere sul nostro corpo è una forma di violenza».
Questa risoluzione, comunque, non ha natura vincolante (non produce cioè alcun effetto giuridico diretto), esattamente come quella del luglio 2022, quando l’Aula di Strasburgo chiese alla Corte suprema statunitense, la quale aveva appena ribaltato la storica sentenza “Roe v. Wade” che garantiva l’Ivg a livello federale, di tornare sui suoi passi ristabilendo il divieto per i singoli Stati di restringere autonomamente l’accesso all’aborto (reintrodotto recentemente, ad esempio, dall’Arizona).
All’atto pratico, tali prese di posizione hanno praticamente zero chances di essere realizzate: questo perché, stando ai trattati comunitari, i Ventisette detengono competenze esclusive in materia sanitaria, e dunque occorre l’unanimità per poter modificare i trattati in questo riguardo. E se mettere d’accordo tutti è già difficile normalmente, figuriamoci su questioni politicamente controverse come l’aborto. Alcuni Stati membri si sono già esplicitamente dichiarati contrari, ma il problema maggiore è Malta, che a oggi è l’unico Paese del blocco a proibire per legge l’Ivg senza eccezioni (inclusi lo stupro e le deformazioni gravi del feto).
Impossibile, dunque, non considerare la dimensione prettamente politica (o meglio elettorale) della questione, come nota parlando con Linkiesta Veronica Rossi, eletta a Strasburgo tra le fila del Carroccio: «È una mossa politica altamente ideologica, tipica di questa maggioranza, che potremmo rovesciare con il sostegno dei cittadini europei alle prossime elezioni». Per lei, questa risoluzione «arriva da un’Europa del tutto disinteressata alla sacralità della vita, che non ha fatto nulla per la crisi della natalità, né per migliorare un sistema socio economico ostico per le famiglie che vogliono mettere al mondo dei figli e per le giovani madri». È Benifei stesso, del resto, a sottolineare che quello dell’aborto «sarà un tema della campagna elettorale europea», dove andrà in scena uno scontro «tra le forze nazionaliste e quelle che invece pensano che l’Unione debba fare un salto di qualità politico» su molti fronti, incluso quello dei diritti.
D’altro canto, la risoluzione votata ieri, a prima firma della francese Valérie Hayer, riecheggia direttamente la mossa del legislativo bicamerale francese, che lo scorso 4 marzo ha votato per inserire in costituzione la libertà (anziché il diritto, su richiesta del Senato) delle donne di abortire. E infatti Hayer, capogruppo a Strasburgo dei liberali di Renew Europe (il cui consenso, stando ai sondaggi, è in caduta libera), nonché uno dei tre candidati di punta dei centristi per le europee, è un’alleata di ferro del presidente Emmanuel Macron.
Macron, a detta di molti, ha strumentalizzato la lotta femminista per l’aborto libero nel tentativo di fermare l’emorragia di consensi a sinistra, aggravatasi dopo essersi spinto troppo a destra su migrazioni e ordine pubblico. Insomma, con le elezioni alle porte (in Italia si vota l’8 e il 9 giugno: segnatevelo in agenda), è legittimo interpretare la mossa degli eurodeputati come un segnale al pubblico, che giunge proprio il giorno dopo che la Commissione ha registrato un’iniziativa popolare per assicurare l’accesso all’aborto a tutte le donne residenti negli Stati Membri.