Non ti scordar di meL’Occidente non può lasciare la questione libica in mano al Cremlino

Mentre l’Europa continua a fare accordi con Tripoli, la popolazione rimane costretta a convivere con un doppio esecutivo, che aggrava uno stato di assoluta anarchia politica. La memoria dell’attacco al consolato Usa a Bengasi è il freno per un intervento di Washington

Yousef Murad/LaPresse

L’Europa, molto concentrata sulla questione del contenimento del fenomeno migratorio e su presunte invasioni mai corroborate da fatti, guarda alla Libia come alleata nella costituzione di una barriera agli afflussi di migranti e accetta di fare accordi a suon di milioni di euro con Tripoli bypassando completamente la questione politica di un Paese in preda all’anarchia, gestito da due esecutivi – il Governo di Accordo Nazionale (Gna) guidato da Abdul Hamid Dbeibah a Tripoli e quello di Bengasi sostenuto da Khalifa Haftar – e sempre sull’orlo di una guerra.

Gli Stati Uniti, invece, si preoccupano del terrorismo e della diffusione di organizzazioni islamiste in tutta la regione e sono apparsi fino a ora sostanzialmente disinteressati a una road map politica che porti il Paese nordafricano verso una maggiore stabilità. La Libia, quindi, complici anche le dimissioni, un mese fa, di Abdoulaye Bathily da capo della Missione di sostegno delle Nazioni Unite, ultime di una infinita storia che ha visto succedersi in meno di tredici anni sette special envoy, sembra essere uscita dai radar del mondo. O meglio, di una parte del mondo, quella occidentale. L’assenza di vere e proprie strategie geopolitiche di Europa e Stati Uniti, infatti, combinata con una sorta di acquiescenza verso una situazione di sostanziale disordine, purché gli obiettivi dichiarati – contenimento dei flussi migratori e della penetrazione jihadista – siano garantiti, ha condotto a un vacuum politico di cui la Russia sta approfittando con sempre maggiore evidenza negli ultimi anni.

Schierata fin dallo scoppio della guerra civile a fianco del generale Haftar, così come Egitto ed Emirati Arabi Uniti, la Russia ha aumentato progressivamente la sfera di controllo in Libia fino a guadagnare sempre maggiori spazi anche al di fuori dei confini geografici e politici di Bengasi. Il trend è confermato da una serie di eventi, l’ultimo dei quali riporta la data del 13 maggio scorso. In quella data Abdullah Al-Lafi, il vicepresidente del Consiglio presidenziale libico, ricevuto dal ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov a Mosca assieme al ministro degli Esteri del governo di unità nazionale Al-Taher Al-Baour e dal capo di Stato maggiore dell’esercito libico, il tenente generale Mohammed Al-Haddad, ha invitato la Russia a svolgere un «ruolo positivo e costruttivo» per sostenere la stabilità nel Paese nordafricano.

Dopo aver auspicato il «ritorno delle aziende russe in Libia», Al-Lafi ha sottolineato l’importanza del lavoro del Comitato militare congiunto (che comprende cinque membri dell’establishment militare della Libia occidentale e cinque delle forze orientali guidate da Khalifa Haftar, ndr) facendo quasi intendere che un suo rilancio potrebbe essere sostenuto proprio da Mosca. Da parte sua Lavrov ha confermato che il suo Paese ha tutte le intenzioni di stare al fianco dei libici e ha anche rivelato gli sforzi di Mosca per aprire un consolato a Bengasi e lavorare per rafforzare le relazioni bilaterali.

Secondo la rivista Newsweek, poi, solo nelle ultime settimane almeno milleottocento soldati e mercenari russi sono stati dispiegati nel Paese nordafricano.

Per il think tank Atlantic Council la diplomazia e l’establishment politico statunitense in generale, negli anni tra il 2014 e il 2022, hanno dato poco rilievo a qualsiasi allarme proveniente dalla Libia, avendo optato per un ritiro sostanziale dalla Libia anche a seguito dello shock per l’assassinio dell’ambasciatore Chris Stevens, nel 2012. Da allora, sempre secondo Atlantic Council, gli Stati Uniti avrebbero preferito delegare il compito di risolvere la questione libica agli europei e alle Nazioni Unite preferendo limitarsi a un controllo dell’area affidato all’antiterrorismo.

Ma ultimamente il rischio che l’America scompaia da una vasta area dell’Africa che va dal nord fino al Sahel, anche a seguito della cacciata delle truppe statunitensi dal Niger di qualche settimana fa e la successiva accoglienza di quelle russe (alloggiate, per clamorosa beffa, negli stessi locali, ndr) da parte del governo golpista di Niamey, si fa reale. E con esso anche la possibilità che a guadagnarne sia l’arcinemico russo, in una specie di nuova edizione di guerra fredda da combattersi in Africa. A Washington, quindi, la Libia, da qualche mese starebbe tornando di grande attualità come testimonia, tra le altre, la dichiarazione di Jonathan Winer, ex inviato speciale degli Stati Uniti in Libia, che sul finire dello scorso anno ha riferito la volontà degli Stati Uniti di prendere la minaccia «molto seriamente» e ha poi aggiunto: «Tenere la Russia fuori dal Mediterraneo è un obiettivo strategico fondamentale: se la Russia riesce ad avere dei porti lì, ha la possibilità di spiare tutta l’Unione Europea».

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