La città delle ideeCopenaghen vista dagli occhi di due architetti e urbanisti milanesi

La capitale danese merita una visita per immergersi in un’atmosfera progettuale, in un luogo che prova a disegnare il suo futuro a partire dall’oggi, dal contemporaneo

Courtesy of Quinzii Terna Architecture – QTA

«Quello di cui non ci si rende sufficientemente conto è che la miglior difesa alle minacce esogene non sono le pareti, ma le idee, e che uno spazio può diventare luogo solo se propone a chi lo abita un riorientamento simbolico e identitario: “casa” non è lo spazio, è l’interpretazione che si dà a quello spazio, e che lascia tracce di sé in metonimie architettoniche dove si addensa, nasconde, rivela il farsi cultura di una cultura. […] Ci sono culture in cui le case pesano quanto un’idea, e culture in cui le idee pesano come le case», scriveva Matteo Meschiari in “Disabitare. Antropologie dello spazio domestico” (Meltemi, 2018). 

Una torre, dove si sale a cavallo fino all’osservatorio più antico d’Europa. Una guglia, dove provare la sensazione dell’abisso. Un inceneritore, sopra il quale si sviluppa una montagna su cui sciare, arrampicarsi e fare trekking nel bosco. Un centro culturale di quartiere, che è un grande playground al coperto per i bambini, con una palestra, un bar/ristorante, una biblioteca, un toboga per scendere dal terzo piano, delle pareti su cui arrampicarsi e ragnatele di cavi per sentirsi Spiderman.

Courtesy of Quinzii Terna Architecture – QTA

Una piazza/boulevard, che da minerale diventa naturale (e viceversa) e racconta un quartiere multiculturale, accogliendo arredi da tutto il mondo. Una piazza, che si sviluppa come un paesaggio topografico su cui sfrecciare con biciclette e monopattini e che accoglie questi mezzi sotto colline artificiali. Un parcheggio multipiano, che come una montagna sorregge casette in legno. Una casa collettiva, sulla quale si sale con una grande passeggiata pubblica e che prevede, a ogni piano, un piccolo giardino per ciascuna casa. Un parcheggio, che diventa un giardino botanico. Le ciclabili, con i poggiapiedi ai semafori e i cestini inclinati per gettare al volo i rifiuti direttamente dalla bicicletta. Una città, nella quale sacche di sangue ospedaliere vengono trasportate in cargo-bike. 

Copenaghen merita una visita, per immergersi in un’atmosfera progettuale, in un luogo, cioè, che prova a disegnare il suo futuro, a partire dall’oggi, dal contemporaneo. L’elenco precedente racchiude idee di singoli progetti, alcuni antichi, la maggior parte degli ultimi dieci-quindici anni, ma tutte insieme queste idee raccontano un’idea di città, di luogo che si vuole abitare: raccontano la voglia e il coraggio di una Nazione “giovane”, che con entusiasmo e ironia pensa e continuamente reinventa i propri spazi.

Il playground degli architetti, qualcuno potrebbe dire, ma Copenaghen forse dimostra la voglia di un’intera società di lasciarsi affascinare e stimolare da idee condivise, di leggere in queste la concreta possibilità di uno sviluppo economico e sociale, magari anche di tornare bambini e realizzare i propri sogni.

Il grande inceneritore, progettato dallo studio BIG, diventa allora un simbolo, oltre che un dispositivo tecnico: è l’immagine ottimista di una città che prende di petto un problema, una questione, e la risolve alla luce del sole, cercando di coinvolgere la società intera, anzi, attraendo persone dal fuori, per condividere questo ottimismo: un edificio che in altri luoghi sarebbe interdetto, protetto alla vista, impenetrabile, qui diventa un luogo pubblico, costruito per divertire. È una montagna in un Paese piatto, è un sentiero da percorrere di corsa più volte, è una vista inedita verso il mare, ma anche verso le industrie locali circostanti (perché nasconderle?), è un bar, è un parco giochi. E, sotto, straordinariamente, l’immondizia cittadina viene trasformata in calore e nuova energia.

Courtesy of Quinzii Terna Architecture – QTA

Questo non vuol dire che l’ottimismo di affrontare le situazioni più difficili si possa risolvere senza criticità (e critiche): la combustione dei rifiuti ha portato a un minor riciclo da parte dei cittadini; la dimensione dell’inceneritore è sovradimensionata per la città e quindi vengono bruciati anche rifiuti esterni, affinché si possa mantenere l’efficienza del sistema; i gas di scarico della combustione non sono totalmente esenti da sostanze inquinanti; in generale la combustione dei rifiuti non si può annoverare tra i sistemi sostenibili per la riduzione degli scarti.

Eppure vediamo in questo edificio la serenità di provare, di mettersi in gioco per affrontare una problematica, sapendo di poter sbagliare e quindi di riprovare, migliorando: confrontiamo questo atteggiamento con la passività con la quale in Italia si affrontano le nuove necessità, con l’inazione, che spesso sfocia nel conservatorismo; ogni decisione migliorativa diventa così un passo pesante, da attuare con circospezione, nonostante, spesso, l’entusiasmo e le competenze che arrivano dal basso (pensiamo alla recente mobilitazione contro la sosta irregolare a Milano e più in generale a un Paese che ha un numero di architetti pari a cinque volte quello della Francia e quasi il triplo rispetto alla media europea): qui, a Copenaghen, l’entusiasmo e le competenze vengono raccolte e veicolate in progetti concreti attraverso una narrativa positivista, ma non pare mai che la comunicazione voglia impedire la critica.

Courtesy of Quinzii Terna Architecture – QTA

Semplicemente la città è pronta ad accogliere la complessità del presente, in maniera rigorosa, ma, soprattutto, propositiva, alla fine di un percorso/processo intrapreso dalla metà degli anni Sessanta del Novecento con le prime sperimentazioni urbane, ai quali grande contributo si deve agli studi, alle analisi e alle proposte di Jan Gehl. In questo senso sembra che Copenaghen (e così altre città internazionali) possa raccogliere l’eredità di un pensiero progettuale forte e radicale, che caratterizzi i nostri tempi.

Gli anni dopo le guerre mondiali hanno raccolto le istanze più urgenti della contemporaneità: da un lato l’igiene, fondato sul razionalismo, le ampie distanze degli edifici per far entrare sole e luce nelle case, il bianco degli edifici come narrazione della pulizia e del rigore; dall’altro lato la quantità, la necessità di case per la ricostruzione fisica, economica e sociale delle comunità urbane, i nuovi servizi, le scuole, la sperimentazione dell’industrializzazione edilizia.

Oggi, un centinaio di anni dopo, troviamo delle nuove esigenze nella società e una delle più forti è forse quella legata alla riappropriazione dello spazio pubblico, spesso attraverso il gioco, che nelle sue varie forme abbraccia anche i concetti di leisure, sport e salute pubblica e, più in generale, il tema della mobilità sostenibile. Ne parliamo nella prossima “puntata”, dove racconteremo di alcune piazze della città, simbolo di questa attitudine. 

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