Orizzonte Bruxelles Lentamente, piaccia o no, gli italiani stanno diventando sempre più europei

Le statistiche confermano che gli italiani continuano a emigrare negli altri Paesi membri, ma le destinazioni sono cambiate nel tempo. A spingere gli under trentacinque non sono più solo ragioni economiche e professionali, ma anche scelte di vita

Carlo Cozzoli/LaPresse

Nel 2023 sono arrivati a sfiorare gli 1,5 milioni, ovvero quasi trecentosessanta mila in più che nel 2016, per un aumento percentuale del ventinove per cento. Si tratta del numero di italiani che vivono in un altro Paese dell’Unione Europea. Neanche il Covid ha frenato questo incremento e non parliamo solo di anziani che da giovani partirono per la Germania o il Belgio in cerca di lavoro, ma anche e soprattutto dei tanti ventenni e trentenni che sono emigrati negli ultimi anni. Tra chi ha fra venticinque e ventinove anni la crescita degli italiani residenti nella Ue è stata infatti superiore alla media, del 32,8 per cento, mentre tra chi ha fra trenta e trentaquattro anni del 39,1 per cento.

Dati Eurostat

Non dovremmo però fare l’errore di credere che si tratti di un fenomeno dettato solo dal declino economico che di fatto noi viviamo da tre decenni. Le destinazioni non sono solo quelle classiche, anzi. Gli italiani in Germania in questi sette anni sono cresciuti di appena ventimila unità e dal 2020 sono in discesa, così come sono in diminuzione in termini relativi. Se nel 2016 su cento connazionali nell’Unione Europea il quarantacinque risiedeva in quel Paese l’anno scorso erano il 38,6 per cento.

Sono diventate più gettonate altre mete, la Spagna per esempio, dove otto anni fa vivevano 191.618 italiani, il 15,5 per cento degli italiani nell’Unione Europea, e nel 2023 più di trecentomila, il 20,2 per cento. Se è diminuito il peso del Belgio in queste statistiche, è cresciuto quello dei Paesi Bassi, ma anche del Portogallo, che l’anno scorso è stato il luogo di residenza del 2,3 per cento di chi abita all’estero, a fronte dello 0,5 per cento del 2016.

Dati Eurostat

Si tratta anche dell’esito di scelte professionali, affettive e di vita, non solo economiche, delle conseguenze della percezione degli altri Paesi d’Europa come di realtà più prossime, in cui ci si può trasferire come ci si trasferisce in un’altra regione italiana. Magari decidendo poi di tornare.

Non a caso non sono solo gli italiani a muoversi, anzi. Un incremento del numero di quanti decidono di vivere in un altro Stato membro dell’Ue è visibile pressoché per tutti, anche se con dimensioni diverse. Per i francesi, per cui l’aumento di circa novantasei mila persone, più diciotto per cento, è stato registrato soprattutto tra il 2016 e il 2021, anno dopo il quale le cifre sono scese leggermente, rimanendo molto più alte dei livelli dello scorso decennio. Per i tedeschi, che in sei anni sono aumentati nel resto dell’Unione di cinquantaquattro mila unità, ovvero del 7,6 per cento. E soprattutto per gli spagnoli. Come per gli italiani si aggiungono anche dinamiche economiche a spiegare l’incremento degli iberici nell’Ue, il ventinove per cento in più, tra 2016 e 2023.

Dati Eurostat, anno di fine delle serie in base ai dati disponibili

Il trend di crescita del fenomeno è visibile anche per olandesi e svedesi. Con un aumento del 14,9 per cento il trasferimento in altri Paesi europei è stato deciso per lavoro, per motivi familiari, per godersi la pensione al caldo o semplicemente perché hanno voglia di cambiare orizzonte.

Dati Eurostat, anno di fine delle serie in base ai dati disponibili

L’Unione Europea è diventata più popolare per chi emigra rispetto ai Paesi extra Ue tra cui c’è, ricordiamolo, anche il Regno Unito. Nel 2013 chi sceglieva di andarsene si recava nel 53,1 per cento dei casi fuori dall’Unione, nel 2022 questa percentuale era del 44,4 per cento. Anche in Italia c’è stato un cambiamento simile, in particolare fra chi ha tra i venti e trentaquattro anni. Se due anni fa tra tutti i nostri connazionali era solo il quarantotto per cento a trasferirsi in un altro Stato membro, tra i più giovani questa percentuale saliva al 50,3 per cento.

Piccoli segnali che mostrano che l’identità europea è sempre più realtà nei fatti. Naturalmente tra coloro che si spostano ci sono anche diversi cittadini italiani, francesi, tedeschi nati all’estero, che scelgono di trasferirsi cercando nuove occasioni, seguendo un familiare o un amico, ma questo non cambia i termini della questione, anzi.

 

Dati Eurostat

A proposito di cittadinanza, tra il 2013 e il 2022 è cresciuto in modo deciso, passando da meno di settantanove mila a più di centoquattordici mila, il numero di persone che hanno acquisito la cittadinanza di un Paese Ue avendo già in precedenza un passaporto di un altro Stato membro. Metà di questo incremento si è verificato tra 2020 e 2022 e ha riguardato in particolare l’Italia, la Spagna, la Francia.

Dati Eurostat

Si deve però sottolineare come non sia ancora visibile un effetto di questa maggiore mobilità sulle nascite. Il numero di bambini che vengono al mondo da madri nate in un altro Paese Ue segue lo stesso trend discendente di quello dei bambini figli di donne nate e vissute nel luogo in cui partoriscono. Sono stabili tra il 4,4 e il 4,8 per cento del totale a livello europeo, all’incirca come in Spagna, mentre in Germania arrivano all’otto per cento. In Italia tra 2013 e 2022 sono addirittura scesi dal sei al 4,2 per cento, segno che, anzi, gli europei che vivono nel nostro Paese sono anche meno fecondi degli italiani stessi. Del resto a muoversi nel continente sono spesso giovani e meno giovani più liberi da legami familiari, che non hanno figli e che non ne avranno nel luogo in cui si spostano, magari per un lavoro che poi lasceranno per trasferirsi ancora.

Dati Eurostat

Dati EurostatA crescere è solo la percentuale di nati da madri con origini extra-europee, nel 2022 è arrivata al 17,2 per cento, il 3,8 per cento più che nel 2013. In Italia la cifra è simile, mentre ha raggiunto il venticinque per cento in Spagna, il ventuno per cento in Germania e il 21,7 per cento in Francia. In fondo, però, anche questi bambini sono destinati a diventare sempre più europei, come lo stanno diventando coloro che sono nati venti o trent’anni prima e forse per loro, abituati a pensare che di identità e appartenenze ce ne possano essere più di una, sarà ancora più facile. Piaccia o meno ai sovranisti chiusi nella propria bolla, ferma ai mitici anni Ottanta, in cui qualcuno credeva che globalizzazione e benessere potessero risiedere solo nei dischi, nei programmi, nei prodotti stranieri da importare e che solo le merci si muovessero sempre di più da un capo all’altro del mondo, non le persone.

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