«Esiste un grande potenziale per un ricordo creativo che rifletta in modo significativo la personalità e l’individualità della persona morta e del lutto». Con queste parole, la dottoressa Kate Woodthrope, co-direttrice del Center for Death and Society (Cdas) di Bath, ha affrontato di petto il tabù dei tabù, ossia quello della morte, un termine che solo a pensarlo innesca in noi una sensazione di disagio difficile da descrivere. Colpa, forse, anche dei rituali funerari tradizionali, che stiamo iniziando a mettere in discussione anche nel mondo occidentale. Secondo uno studio del Cdas, soprattutto dopo le fasi acute della pandemia, il numero di cittadini che rifiuta le forme classiche (e spersonalizzate) di onoranze funebri è in costante aumento. Proprio come il conto delle cremazioni rispetto alle sepolture.
Non a caso, stando a un report del 2023 firmato dal National funeral directors association, il 53,1 per cento delle persone ha partecipato almeno una volta a un funerale in un luogo «non tradizionale», e solo un cittadino su dieci desidera un «addio rituale» con la classica sepoltura preceduta dal funerale religioso. Il fattore economico, stando al sopracitato studio del Cdas, non rivestirebbe un ruolo preponderante all’interno di questo nuovo approccio alla “fine di tutto”: un fenomeno che spesso fatichiamo solo nominare, nonostante sia una parte naturale della vita e una «fonte di ispirazione e libertà», nonché un mezzo inaspettato «per comprendere lo scopo della nostra esistenza». Non lo diciamo noi ma il filosofo tedesco Martin Heidegger (1889-1976), autore di riflessioni ancora oggi preziosissime su questo tema.
«Le persone che affrontano la morte dei loro cari in modo diverso dicono di sentirsi in controllo anche del proprio processo di lutto. Organizzando un servizio commemorativo separato dal giorno della cremazione del corpo, possono decidere in libertà chi può partecipare o meno a questo momento, senza dover condividere l’evento con un gruppo di persone con cui è “obbligatorio” essere gentili, ma che sono state assenti nella vita del defunto negli ultimi trent’anni», dice senza fronzoli Woodthrope.
A Londra, ma ultimamente anche in Italia, stanno nascendo i “death cafè”, dove si parla di morte e lutti in totale libertà davanti a un gruppo di sconosciuti mentre si sorseggia una tazza di tè caldo. È uno dei tanti modi per convivere con un evento psicologicamente struggente, ma al tempo stesso naturale e che la modernità ha eliminato dal discorso pubblico, confinandolo senza verdetto nella sfera delle tragedie inspiegabili. Ma escludere un tema dal dibattito non può fare altro che soffocare la nostra capacità di elaborarlo in modo sano e costruttivo, al netto delle (innegabili) difficoltà che può creare.
Anche per questo, nel marzo 2024, Alessandra Lucchini, Cristina Manfredi e Marco Ramon hanno fondato Hashi Rituals, che si definisce una «società di eventi di commiato e supporto nell’elaborazione del lutto». Nel rispetto della tradizione e non sostituendosi ai servizi di onoranze funebri, Hashi Rituals crea cerimonie in base alla personalità del defunto, arricchendo di valori intimi le cerimonie più difficili da vivere, organizzare e ricordare.
«Negli anni ho assistito a diverse cerimonie funebri che spesso ho trovato impersonali, perché i partecipanti non si riconoscevano appieno nel tipo di celebrazione proposta. Credo invece che ci sia un grande bisogno di affrontare insieme il lutto, un’occasione profonda di incontro presente in tutte le culture del mondo. Fino a poco tempo fa, lo stesso accadeva anche da noi: solo ultimamente abbiamo iniziato a ritrarci di fronte a un funerale, spaventati dal confronto con la morte che forse l’ultimo grande tabù della cultura occidentale», dice Cristina Manfredi, giornalista e portavoce del progetto.
Dagli home ritual ai ritrovi nella natura, Hashi Rituals prova a scardinare con le simbologie, la partecipazione e il dialogo tutti i preconcetti occidentali attorno al lutto. Gli esperti che collaborano con il progetto organizzano eventi che spaziano dal completamento di una onoranza funebre a un appuntamento annuale in ricordo della persona scomparsa. Nel concreto, Hashi Rituals mette a disposizione la musica, gli allestimenti floreali, i profumi, il light design, il catering e la decorazione d’interni, chiaramente nel rispetto di tutte le normative vigenti. A qualcuno potrà sembrare inquietante, ad altri affascinante, ma è un tentativo per fornire una simbologia nuova a un evento – quello del rito funebre – spersonalizzato e incapace di allinearsi alle sensibilità della nostra epoca.
A proposito di tabù e morte, fino al 21 luglio – presso il Kulturstiftung Basel H. Geiger | KBH.G, centro culturale svizzero nella città di Basilea – è possibile immergersi nella mostra The end of aging, che punta a osservare il tema dell’invecchiamento con le lenti delle biotecnologie, grazie al contributo di scienziati di fama internazionale. Il progetto replica l’interno di un ospedale abbandonato ambientato nel futuro, dove i visitatori potranno ammirare opere (video e audio) focalizzate su una civiltà immaginaria in cui le persone possono invertire il loro (non più inesorabile) percorso verso la vecchiaia. Biomarcatori per invertire l’orologio biologico, strategie di ringiovanimento, l’impatto della vita sana, l’inevitabilità della morte e la scienza dell’invecchiamento: c’è tutto il necessario per uscire dagli schemi e assumere, anche solo per un’ora, un punto di vista inedito. E prezioso.