La notizia è senz’altro succosa, il Mezzogiorno nel 2023 è cresciuto più della media italiana, +1,3 per cento, contro un +0,9 per cento nazionale. Ancora più importante è stato il divario in termini di occupazione, i lavoratori nel Sud e nelle Isole sono aumentati del 2,5 per cento, mentre in Italia nel complesso dell’1,8 per cento.
È successo raramente in passato. Siamo davanti a un rimbalzo? A un’inversione di tendenza rispetto a quell’allargamento delle distanze tra Centro-Nord e Mezzogiorno che ha caratterizzato gli ultimi anni? È presto per dirlo, i toni trionfalistici di tanti commentatori, di parte e non, che comprensibilmente attendevano da tempo un riscatto della parte più povera d’Italia, potrebbero essere prematuri.
Ci sono alcuni dati che devono indurci a essere prudenti. Per esempio, guarda caso, nel 2023 per la prima volta l’incremento della spesa pubblica italiana è stato superiore alla media Ue e maggiore che nella maggior parte degli anni precedenti, +1,2 per cento, contro un aumento a livello comunitario dello 0,9 per cento. Nel 2022 era cresciuta dell’uno per cento (+1,3 per cento nella Ue), nel 2021 dell’1,4 per cento (+4,1 per cento nella Ue) e tra 2010 e 2019 mediamente era addirittura scesa ogni anno. Lo stesso può dirsi degli investimenti pubblici, che sono saliti al 3,2 per cento del Pil nel 2023, a fronte di un valore precedente sempre inferiore al tre per cento.
Ci sono state, quindi, condizioni eccezionali, create principalmente dal PNRR, come sottolinea lo Svimez, che registra una crescita degli investimenti pubblici stessi di ben il 16,8 per cento nel Mezzogiorno e del 7,2 per cento al Centro-Nord. Queste cifre diventano +50,1 e +37,6 per cento se parliamo specificatamente di opere pubbliche.
Non a caso tra i comparti in cui il differenziale è maggiore tra le due aree del Paese vi sono le costruzioni, +4,6 per cento nel Sud e nelle Isole, contro un +3,9 per cento in Italia, con picchi in Basilicata e Calabria.
Si tratta, come sappiamo, di uno dei settori a minor produttività, che infatti nel Mezzogiorno ha sempre rappresentato una quota del valore aggiunto totale maggiore che nel resto del Paese, il 6,1 per cento nel 2022, contro il 5,1 per cento nel Centro-Nord. Proprio recentemente, dopo il Covid, il peso di questo comparto ha ripreso a crescere più che altrove, superando i valori di una decina di anni fa.
È un dato che naturalmente risente dei fattori esterni citati, l’iniezione di risorse pubbliche per realizzare investimenti.
Nel 2023 nel Sud e nelle Isole è stata più rilevante che altrove la variazione del contributo dell’industria manifatturiera, che solitamente presenta una produttività maggiore degli altri settori, ma ciò è avvenuto solo perché nel Mezzogiorno in un anno il valore aggiunto di questo comparto è calato di mezzo punto, mentre in Italia nel complesso dell’1,1 per cento.
Inoltre, considerando, insieme alla manifattura, anche il settore energetico, siamo di fronte a un settore che è strutturalmente in rimpicciolimento in Italia e in gran parte dell’Occidente e che nel Meridione ha sempre avuto un peso inferiore che nel resto del Paese, due anni fa costituiva l’11,9 per cento del valore aggiunto totale prodotto, contro il 12,5 per cento del 2019, mentre in Italia si era passati dal 19,6 al 19,2 per cento.
Dato ancora più rilevante, dopo il Covid nel Mezzogiorno i redditi da lavoro dipendente di questo settore sono diminuiti più che proporzionalmente, passando dal 14,7 al 13,7 per cento di quelli totali tra 2019 e 2022, mentre in Italia si sono mossi meno. Significa che i salari mediamente sono saliti meno che altrove. Il minor calo del 2023 non può avere migliorato di molto una situazione strutturale che da decenni sembra segnata, soprattutto al Sud.
L’ambito in cui Sud e Isole si sono distinti di più dal resto d’Italia è quello dei servizi immobiliari, finanziari, professionali e alle imprese, il cui valore aggiunto è salito del 3,3 per cento, contro un +2,3 per cento nazionale.
Guardiamo a quelli che in questo insieme sono i servizi più avanzati, quelli che riguardano le attività finanziarie, tecniche, alla ricerca. Da sempre in realtà vedono un ruolo delle regioni meridionali inferiore a quello del Centro-Nord. Il peso di questo settore sul valore aggiunto totale secondo gli ultimi dati disponibili, del 2022, è del 25,5 per cento nel Mezzogiorno, contro uno medio, in Italia, del 28,8 per cento. Mentre nel complesso nel Paese è salito dopo la pandemia, proseguendo una crescita che viene da lontano, nel Sud e nelle Isole c’è stata una discesa. Soprattutto, anche in questo caso, c’è stata una diminuzione del peso che hanno i redditi da dipendente di questo comparto, che sono passati nel Meridione dal 10,1 al 9,7 per cento di quelli complessivi, mentre altrove c’è stato un incremento.
Questi dati mostrano, oltre a una dinamica salariale peggiore nel Mezzogiorno, anche che nei servizi di questo tipo moltissime posizioni lavorative sono autonome e non stabili.
Il recupero del 2023 ha probabilmente invertito in parte questa tendenza, ma lo sapremo con esattezza quando saranno disponibili anche i dati sui redditi comparto per comparto. Abbiamo il dato generale, che ci dice che a un maggiore aumento occupazionale è corrisposto nel Mezzogiorno anche una maggiore crescita dei redditi medi, +7,5 per cento contro un incremento nazionale del 6,5 per cento.
Rimangono due incognite, cosa succederà quando verrà meno, e succederà a brevissimo, lo stimolo pubblico? E riuscirà la struttura produttiva del Sud, fatta di aziende più fragili e con un peso dei settori più produttivi inferiore alla media, a fare da sola? Abbiamo davanti a noi l’esempio di uno dei comparti in cui già prima del Covid erano state accorciate le distanze con il Centro-Nord, quello del commercio, dell’alloggio e ristorazione, cui Istat associa l’Ict, che però è molto piccolo nelle regioni meridionali.
Dal 2007 in poi l’importanza di questo macro-settore sul totale era cresciuto più che altrove, in termini di valore aggiunto, al punto che nel 2019 e ancora più nel 2022 era arrivato a costituire una quota dell’economia del Mezzogiorno superiore al venticinque per cento e soprattutto superiore alla quota che rappresenta nel Centro-Nord.
Sappiamo che di per sé, trattandosi di un ambito in cui lo scorso decennio la produttività era veramente bassa, non è propriamente una buona notizia, ma a colpire anche qui è il fatto che a livello di redditi non c’è stato lo stesso incremento. Nel Mezzogiorno il peso delle entrate dei dipendenti del settore su tutti i redditi dei lavoratori è stato inferiore a quello delle entrate dei colleghi delle altre regioni, e con il Covid c’è stato addirittura un calo, nonostante la crescita occupazionale.
Un aumento del valore aggiunto e persino un aumento dell’occupazione non significano necessariamente un miglioramento dei redditi maggiore che nel resto del Paese, non in tutti i comparti. A maggior ragione, non è garantito ci sia alcun aumento se l’unico motore è il settore privato, come è inevitabile che sia in futuro in un Paese che ha un enorme elefante nella stanza, un debito pubblico gigantesco. Nel 2023 può essere accaduto, ma siamo stati graziati dall’intervento dei fondi dell’odiata Europa, cosa succederà alle regioni più fragili quando, in assenza di fondi pubblici «sovrani», saranno lasciate a loro stesse?