Discussioni steriliLa crisi demografica è peggiore del previsto (e forse ancora troppo ottimista)

Chi prevedeva una crescita incontrollata della popolazione si era tragicamente sbagliato. In Italia, Giappone, Germania, Corea del Sud sarà sempre più difficile sostenere la spesa sanitaria pensionistica e il welfare

Pexels

C’era una volta la bomba demografica, o meglio la paura di essa, di una crescita incontrollata della popolazione che avrebbe messo a dura prova le risorse del pianeta, provocato povertà, carestie e migrazioni. Se escludiamo gli ultimi giapponesi della teoria della sovrappopolazione, negli anni recenti si è capito che quelle previsioni erano tragicamente sbagliate, che tra alcuni decenni non solo la popolazione europea, ma quella mondiale toccherà un picco e comincerà a calare.

La crisi demografica che in Italia, Giappone, Germania, Corea del Sud si sta facendo sentire, rendendo insostenibile la spesa sanitaria pensionistica e il welfare, creando una carenza di personale nelle aziende, bloccando la crescita economica, colpirà molti altri Paesi. Tra questi anche quelli molto meno robusti, a uno stadio di sviluppo meno avanzato, non solo la Cina, ma anche l’India, la Thailandia, e molti altri, realtà in cui non ha mai preso piede un sistema sanitario universale, in cui i più deboli sono ancora più esposti ai rovesci socio-economici.

Queste sono le previsioni attuali, ma il punto è che quasi sicuramente sono destinate a peggiorare, i parametri su cui si costruiscono sono peggiori dei precedenti ma molto probabilmente migliori di quelli che verranno. È già successo, basta guardare quello che l’Onu pensava nel 2019 e quello che afferma oggi. Solo cinque anni fa gli algoritmi dei suoi analisti calcolavano che la popolazione mondiale sarebbe cresciuta ininterrottamente per tutto il secolo, fino ad arrivare a quasi 10,9 miliardi verso il 2100. Ora ritengono che non andrà oltre i dieci miliardi e duecentonovanta milioni, che raggiungerà tra il 2081 e il 2083, prima di cominciare a scendere e alla fine del XXI secolo sarà di dieci miliardi e centottanta milioni di persone, settecento milioni in meno che nella stima precedente al Covid.

Undesa (United Nations Department of Economic and Social Affairs Population Division), numeri in milioni

La revisione delle previsioni interessa ogni parte del mondo, non solo l’Europa, che comunque a fine secolo conterà centocinquantatre milioni di persone meno di oggi e trentasette milioni meno che nelle stime del 2019. In Asia la popolazione dovrebbe cominciare a scendere dal 2055 circa  e sarà nel 2100 minore di adesso e di centodieci milioni di abitanti minore di quella precedentemente prevista. Una traiettoria simile seguirà l’America Latina, mentre nell’Africa Sub-sahariana la crescita demografica proseguirà, ma sarà molto inferiore a quella prevista, a fine secolo ci saranno quattrocentotrenta milioni di abitanti in meno di quelli stimati nel 2019. Si tratta di un calo dell’11,3 per cento in cinque anni, in Europa la revisione delle previsioni, invece, è stata solo del 5,9 per cento.

Undesa (United Nations Department of Economic and Social Affairs Population Division), numeri in milioni

È proprio nel Sud del mondo, l’area che si credeva sarebbe stata il motore del boom demografico, che invece il rallentamento è più evidente. La Nigeria ne è un esempio lampante, forse clamoroso. Solo cinque anni fa si pensava che sarebbe arrivata alla cifra monstre di 732,9 milioni di abitanti tra un settantacinque anni, oggi sono stati rifatti i calcoli e secondo questi si dovrebbe fermare a meno di quattrocentosettantasette milioni di persone, ovvero ben il 34,9 per cento in meno. La Cina vedrà un calo della propria popolazione ancora più profondo di quello italiano, scenderà a seicentotrentatre milioni, contro il miliardo e sessantacinque milioni immaginato nel 2019, meno della metà di ora, mentre in India la revisione è stata al rialzo, ma anche qui dopo il 2060 dovrebbe verificarsi una netta diminuzione.

Undesa (United Nations Department of Economic and Social Affairs Population Division)

I dati italiani non meravigliano, anche se inquietano, le stime del 2019, come in altri luoghi, si sono rivelate sbagliae già a pochi anni di distanza, visto che siamo già scesi sotto i sessanta milioni, al contrario di quanto si pensasse allora, nel 2050 saremo 51,9 milioni, non 54,4, e nel 2100 solo 35,4 milioni, ovvero 4,6 milioni in meno di quanto si pensava nel 2019. È una revisione dell’11,9 per cento, simile a quella nigeriana.

Undesa (United Nations Department of Economic and Social Affairs Population Division), numeri in milioni

Solo in piccola parte possiamo dare la colpa al Covid, è chiaro come queste gigantesche correzioni mandino al macero ogni stima possibile sulla spesa pensionistica, su quella sanitaria, sull’incidenza degli anziani. Non è colpa delle Nazioni Unite, se non in parte. Non è per nulla facile fare previsioni quando a determinarle sono tantissime variabili, sociali, economiche, statistiche. Il numero di abitanti dipende dal numero di nascite e di morti, dal tasso di fertilità, dalla speranza di vita, ma anche dalle migrazioni, tutte voci che a loro volta sono condizionate da altri fattori, spesso poco calcolabili in anticipo. Come l’immigrazione.

Nel nostro Paese a essere più basso del previsto non è solo il tasso di natalità, che, contro le stime precedenti, sarà nei prossimi decenni sempre inferiore a quello di sette nati ogni centomila abitanti, ma anche quello migratorio. Nel 2019 si pensava che sarebbe arrivato in Italia più di un immigrato ogni centomila persone, in alcuni anni anche più di 1,5, considerando la differenza tra entrate e uscite. Ora le stime sono per un tasso quasi sempre inferiore a uno.

Undesa (United Nations Department of Economic and Social Affairs Population Division)

Naturalmente a questo si aggiunge un tasso di fertilità sempre più basso, è ormai di solo 1,2 figli per donna, contro gli 1,3 previsti per questi anni prima del Covid. Ma proprio a proposito di questo importantissimo indice c’è un aspetto, nelle stime delle Nazioni Unite, che fa pensare che vedremo le previsioni sulla popolazione italiana e mondiale peggiorare molto nei prossimi anni. Gli analisti Onu hanno fatto, infatti, l’ipotesi che il tasso di fertilità dei Paesi con meno nascite salirà nel corso dei futuri decenni. Dovrebbe tornare a 1,3 figli per donna tra quindici anni, a 1,4 tra trenta, per arrivare a 1,48 a fine secolo. Lo stesso dovrebbe accadere in Cina, pur su livelli inferiori. Anche nel 2019 l’impostazione era la stessa, si stimava una crescita della fecondità, ora a essere cambiate sono le cifre, ma non il trend.

È realistico? Per quale motivo nel corso di questo secolo le donne italiane dovrebbero riprendere a fare più figli? Non tanto per l’aumento della proporzione di giovani donne di origine straniera, abbiamo visto che tendono ad adeguarsi ai comportamenti delle coetanee di origine italiana. L’Onu afferma che questo rimbalzo sarà causato dalla crescente uguaglianza di genere, da una maggiore attenzione dei governi alle condizioni delle donne, delle giovani coppie, delle famiglie. Ci vuole molto ottimismo per fare questa ipotesi, considerando che non sappiamo per quanto i nostri conti pubblici, in particolare, rimarranno sostenibili e che molto difficilmente consentiranno massicce iniezioni di risorse nel welfare, anche ammesso e non concesso che tale welfare sia così determinante nella scelta di fare un figlio.

I tassi di fertilità americano e francese, invece, pur rivisti al ribasso, da poco più di 1,8 a 1,65 circa, vengono immaginati costanti, nonostante abbiano subito recentemente delle diminuzioni. Anche in questo caso tale costanza appare piuttosto opinabile, mentre è più chiara la previsione di diminuzione della fecondità delle donne indiane.

Undesa (United Nations Department of Economic and Social Affairs Population Division)

Queste ipotesi di base, così irrealistiche, fanno temere che ci sia ancora a livello internazionale una sorta di negazionismo, consapevole o meno, dell’emergenza demografica che tutto il mondo, prima o poi, non solo l’Occidente, sta attraversando e attraverserà. Accettare che difficilmente si faranno più figli di oggi, che diventeremo più simili alla Corea del Sud che alla Francia, e che sarà così anche per tantissimi altri Paesi, genererebbe stime molto peggiori, catastrofiche. L’Onu inserisce però queste stime in una ipotesi definita «bassa», in cui nel corso del secolo il tasso di fertilità scenderà sotto un figlio per donna, come a Seul. In questo caso nel 2100 gli italiani saranno solo 24,6 milioni, con un’età mediana di 63,6 anni, quindici in più di quella attuale. È una visione deprimente, ma, forse, dovremmo accettare che è anche la più realistica. Per cercare soluzioni adeguate bisogna accettare la dura realtà.

X