Genocidio biancoUtøya, tredici anni dopo

Il 22 luglio 2011, sessantanove adolescenti furono ammazzati dall’estremista neonazista Anders Breivik sull'isola di Utøya, dove da decenni si tiene il raduno dei giovani laburisti di tutta Europa. Secondo Tonje Brenna, sopravvissuta all’attentato e oggi ministra del Lavoro e degli affari sociali del Paese, «gli estremisti attraggono persone che finiscono fuori dalla società»

AP/LaPresse

Quando l’autobus 200 della linea Brakar, che collega Oslo a Hønefoss, lascia la fermata di Sundvoll, piove a dirotto. Pioveva anche il 22 luglio di tredici anni fa, su Utøya, così come piove praticamente sempre nelle settimane intermedie di luglio, una sorta di nuvola fantozziana sopra le vacanze degli scandinavi.

Parlare assieme ai norvegesi, degli attentati di quel giorno, non è facile, perché è piuttosto frequente incontrare qualcuno che conosce qualcuno, magari anche solo di vista, che si è trovato lì in mezzo, fra le pallottole che fischiavano, o in centro città dove era saltato un furgone imbottito di esplosivo. Scene di guerra in un paese in cui la guerra era finita da sessantasei anni.

Dicevamo, la frequenza di trovare qualcuno che abbia non più di uno o due gradi di separazione con un evento incredibilmente malvagio: settantasette vittime in un paese di cinque milioni di abitanti hanno un impatto enorme sull’esistenza di molti, e quindi ancora oggi si affronta la questione con una delicatezza che in Italia, di fronte a orrori indicibili come Ustica, Bologna, Piazza Fontana, o anche il Vajont o il Ponte Morandi, potrebbe quasi essere scambiata per dimenticanza.

Un elemento distintivo è anche il fatto che l’unico responsabile di questi crimini, raramente viene chiamato con il proprio nome. Un giornalista della Nrk lo chiama «the perpetrator», l’autore. Una sua ex compagna di scuola, quasi vergognandosi, dice di averlo persino considerato attraente, in gioventù, mentre la sorella gemella le consigliava di tenersene alla larga. Altri si riferiscono a lui con le sole iniziali, ABB, perché anche solo utilizzare il nome intero di questa persona significherebbe riconoscergli una celebrità immeritata. A testimoniare il male da lui compiuto ci sono i nomi delle vittime e soprattutto la volontà dei familiari, che si impegnano per non far dimenticare l’accaduto.

Scendendo dall’autobus della Brakar ci si trova, quindi, davanti all’albergo Sundvolden, dove nelle prime ore dopo la strage vennero imbastite le prime operazioni di assistenza dei sopravvissuti e recupero delle salme. Qui c’e’ un servizio messo a disposizione dall’associazione per i parenti delle vittime, che si prodiga di accreditare i visitatori. In occasione del 22 luglio, possono avere accesso all’isola solo i sopravvissuti, i parenti e gli amici delle vittime, le istituzioni e alcune organizzazioni invitate.

Proprio qui spunta un’altra storia che rischia di andare dimenticata. «Scusi, questo è il Memorial per Utøya?», chiede una giovane con l’accento tedesco. Assieme a lei ci sono una donna più grande e un bambino. Dopo qualche convenevole, emerge che i tre sono stati invitati dall’associazione per i parenti delle vittime, e loro stessi fanno parte di un’organizzazione simile, dedicata alla memoria di chi ha perso la vita nella Strage di Hanau, vicino a Francoforte, commessa il 19 febbraio 2020 da un estremista di destra. Nove immigrati uccisi in due bar, più la madre del responsabile, poi morto suicida. Mancava meno di un mese all’emergenza Covid e presto il mondo avrebbe iniziato a pensare ad altro. Non Serpil Temiz Unvar, giornalista, originaria del Kurdistan e madre di Ferhat, che ha messo a disposizione il dolore per la scomparsa violenta del figlio per istituire l’Iniziativa Educativa Ferhat Unvar. Serpil saluta calorosamente quando è il momento di prendere la navetta che porterà all’attracco a valle.

Da lì, si arriva a Utøya dove, a fatica e con toni più sommessi rispetto al grande entusiasmo di prima, l’organizzazione giovanile del Partito Laburista è tornata a radunarsi per il tradizionale campo estivo che si tiene ogni anno da quando l’isola è stata donata all’AUF da un’organizzazione sindacale e che proprio in quel contesto, con i suoi oltre seicento partecipanti, era stata l’obiettivo dell’attacco terroristico di tredici anni fa.

L’obiettivo era quello di punire la classe dirigente laburista del domani, quella che secondo l’autore stava contribuendo all’islamizzazione della Norvegia e dell’Europa, utilizzando spesso la retorica del «Genocidio Bianco», perfettamente sovrapponibile alla teoria cospirazionista della «Grande Sostituzione» o della «Sostituzione Etnica» promossa a suo tempo anche dall’attuale premier Giorgia Meloni e più recentemente dal ministro (e cognato) Francesco Lollobrigida.

Non ci è riuscito, l’attentatore, dato che oggi la classe dirigente norvegese è composta in parte dai sopravvissuti di Utøya. Due dei ministri del governo del laburista Jonas Gahr Støre, infatti, sono il trentottenne Jan Christian Vestre (Salute) e Tonje Brenna (Lavoro e Integrazione), più giovane di un anno. Entrambi sono considerati fra i più probabili successori di Gahr Støre.

Per Tonje Brenna, che durante l’assalto del 2011 ha perso numerosi amici, la responsabilità del suo ruolo ministeriale è forte: «Non esiste un vaccino eterno contro l’estremismo», ha dichiarato la ministra a Linkiesta pochi giorni prima della ricorrenza. «Durante gli ultimi tredici anni abbiamo avuto ottanta morti a causa del terrorismo», spiega ricordando anche le vittime di un fanatista islamico che si era accanito sui partecipanti al Pride del 2022 e della sorella adottiva di un giovane neonazista, uccisa nel 2019 perché di origine cinese, prima che il medesimo si accanisse sui fedeli di una moschea a Bærum ferendo due persone.

Brenna chiarisce anche come può influire sul benessere delle persone e sottrarle alla spirale di violenza «Il divario sociale contribuisce all’esclusione sociale, e questa contribuisce alla radicalizzazione», indica la Ministra.

Da donna di sinistra, le si chiede cosa ne pensa di chi oggi ritiene che una parte di quest’area politica abbia abbandonato il tema del lavoro, sposando talvolta l’assistenzialismo, talvolta bizzarre teorie postmoderne («Il diritto dei francesi alla pigrizia» esaltato dalla leader verde Sandrine Rousseau): «Io sono impegnata per fare in modo che chiunque sia in grado di lavorare, lo faccia», risponde Brenna. «La politica deve risolvere le grandi sfide, dove il lavoro sarà centrale. Presto avremo meno persone attive in rapporto ai pensionati», indicando che «Troppi, in particolar modo giovani, sono fuori dal mercato del lavoro, per questo bisogna capire come includerli sia perché potranno essere in grado di badare a loro stessi, ma anche perché sappiamo che persone che finiscono per non lavorare per lungo tempo, si trovano ad affrontare altre difficoltà nel corso della loro vita». La ministra conclude: «Gli estremisti attraggono persone che finiscono fuori dalla nostra rete di sicurezza e dalla società, per questo è importante avere una politica che garantisca alle persone opportunità, potere di decidere per le proprie vite e uno spazio all’interno della comunità. È questo che garantisce alla democrazia muscoli e resistenza».

X