Exit strategyGli enormi benefici delle riserve naturali per l’ambiente

Come spiega Alessandro Chiarucci in “Le arche della biodiversità” (Hoepli), avere il trenta per cento del pianeta il più incontaminato possibile è essenziale per il nostro futuro. Con le esperienze di Sasso Fratino e Montecristo, l’Italia può fare da capofila per la tutela della biodiversità

AP/Lapresse

Se la realtà che ci apprestiamo a vivere è quella che tutti i dati scientifici consolidati negli ultimi anni stanno indicando, ossia la prossima scomparsa di una fetta consistente della biodiversità in questo secolo, la realtà rischia di essere un brutto incubo che sta incombendo su di noi. Un incubo che non vorrei certo augurare come realtà per il futuro dei nostri figli e contro il quale cercherò di operare, sia come scienziato che come cittadino.

Non sto parlando di salvare la biodiversità per il valore che a questa può essere attribuito, o per qualcosa che merita, ma sto parlando di una scelta consapevole che l’essere umano può fare, conscio della sua responsabilità durante l’Antropocene. In questo scenario, l’umanità rinuncia a utilizzare l’intera superficie del pianeta Terra per le proprie legittime necessità utilitaristiche e destina una parte relativamente piccola al prosieguo indisturbato dei processi naturali e alla biodiversità.

Un decimo della superficie terrestre da lasciare completamente indisturbato e in cui possano agire solo i processi naturali, da integrare ovviamente all’interno di una quantità di aree protette ben maggiore, quel famoso trenta per cento di superficie destinata ad area protetta.

Lo scenario di destinare un decimo della superficie terrestre ad Arche della Biodiversità, in cui la natura possa essere quanto più incontaminata possibile e le dinamiche naturali libere di manifestarsi, è una azione consapevole che possiamo consciamente decidere di intraprendere per noi, prima che per la natura.

Propongo di avviare un percorso per questo scenario come scelta consapevole, come elemento di quella alleanza tra esseri umani e natura ipotizzata di Edward Osborne Wilson, per permettere alle generazioni future di vedere alcuni elementi di questo bellissimo pianeta come li abbiamo trovati noi.

Penso che sarebbe triste se i nostri figli si trovassero a vivere in una Terra in cui non esisteranno più foreste prive di ogni forma di gestione, montagne senza reticolo stradale e difficili da attraversare, paludi inaccessibili e popolate da animali strani, isole in cui non esiste nessuna attività umana, e altri ecosistemi in cui la natura si manifesta liberamente senza essere piegata dalle manipolazioni dell’uomo.

Il grande Edward Osborne Wilson ha parlato del fenomeno della biofilia come elemento fondamentale della natura umana. Nell’Antropocene, nell’epoca in cui l’umanità ha trasformato tutto ciò che ci circonda e
trasformato il territorio in spazi urbanizzati, agricoli, foreste gestite e altre situazioni a «determinismo antropico», serve avere dei lembi in cui Madre Natura continua a operare in modo autonomo.

Per far questo, serve anche far crescere il concetto di «Naturofilia», forse meno biologico e più culturale di quello di biofilia, ma che permette di capire quanto sia utile e bello sapere di aver rinunciato ad utilizzare tutto lo spazio disponibile per la tutela di un bene superiore, e che ha un valore collettivo, rappresentato da tutte quelle forme di vita che con noi abitano su questo pianeta.

Conservare le radici dell’Uomo nella Natura del pianeta Terra, come elemento fondante di una società tecnologicamente avanzata. Del resto è proprio il progresso tecnologico in corso, sia in agricoltura che nella produzione energetica, che rende sempre meno necessario usare tutto lo spazio che circonda.

Manca ancora la consapevolezza di quanto incombente e drammatica sia la scomparsa degli ecosistemi naturali e la perdita di biodiversità. Gli scenari sviluppati dall’Ipbes e dalle altre organizzazioni internazionali ipotizzano l’estinzione di un milione di specie entro pochi decenni, una estinzione di massa che lascerà alle future generazioni un mondo impoverito e instabile. Anche Papa Francesco ha ammonito, «Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato».

C’è bisogno di invertire la rotta per mettere la diversità della vita del Pianeta, in tutte le sue forme, al centro delle scelte strategiche. In occasione della presentazione della Strategia Europea per la Biodiversità, il presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha detto: «Rendere la natura nuovamente vitale è la chiave per il benessere e per contrastare il cambiamento climatico e anche la diffusione di pandemie. È la chiave della nostra strategia di sviluppo, il Green Deal Europeo».

Le Arche della biodiversità potranno essere un elemento utile per costruire questo nuovo rapporto tra umanità e natura. Inoltre, ormai è noto che esiste una relazione chiara tra «salute della natura e degli ecosistemi» e benessere sociale ed economico.

Recentemente, in un articolo che analizza i fattori economici alla base della perdita di biodiversità che è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista britannica Philosophical Transactions of the Royal Society, Partha Dasgupta – economista di Cambridge – e Simon Levin – biologo evoluzionista di Princeton – hanno concluso dicendo: «Se dobbiamo fare la pace con la Natura, che significa fare la pace con noi stessi, tutti dobbiamo essere in parte naturalisti». E un naturalista non può che riconoscere il valore fondamentale di lasciare alcuni ecosistemi intatti.

Sono certo che in alcuni decenni si svilupperanno molte politiche nazionali e globali per permettere lo sviluppo di queste Arche della Biodiversità, destinate alla sola protezione dei processi ecologici e della biodiversità.

L’Europa e l’Italia, nello scenario sociale ed economico attuale, possono essere di esempio in questa direzione. Un tempo l’Italia, nel cuore del Mediterraneo che è stato crocevia di molte civiltà e guarda caso anche «hotspot» di biodiversità, era una delle aree del pianeta in cui l’umanità concettualizzava e applicava nuovi modi di trasformare il territorio per renderlo sempre più più adatto alla società, potrebbe diventare in futuro il modello di convivenza migliore tra umanità e biodiversità.

Il punto è proprio fare scelte oggi per proteggere la biodiversità e gli ecosistemi del futuro. E questo va fatto per gli Uomini, non per la Natura, la quale sopravviverà comunque all’eventuale disastro planetario che il nostro modello di sviluppo potrebbe causare.

La rete delle Arche di Noè della Biodiversità sarebbe un passo nella direzione indicata da Edward Wilson, per la coesistenza tra uomini e le altre forme di vita, che l’Umanità dovrà – prima o poi – intraprendere, e di cui l’Italia può essere capofila.

Del resto, non posso certo tradire il mio innato ottimismo, le storie positive di Sasso Fratino e di Montecristo, come quelle di molte altre riserve naturali, ci indicano che questi valori sono condivisi e riconosciuti dalla comunità e dalle istituzioni internazionali.

“Le arche della biodiversità. Come salvare un po’ di Natura per il futuro”, Alessandro Chiarucci, Hoepli editore, pp. 182, € 18,90

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