Alcuni mesi dopo la condanna, Baudelaire scrisse a Poulet-Malassis: «Ho deciso di sottomettermi completamente al giudizio, e rifare sei nuove poesie molto più belle di quelle soppresse. Ma quando mi tornerà la disposizione poetica?». Ecco un quesito direttamente collegato alla vicenda del processo: come agì la mutilazione testuale sulla fantasia creativa del poeta?
Fu evento negativo dai dolci frutti: la deturpazione inflitta dalla sentenza contribuì a una rinnovata espressione artistica, compiuta con furore e pazienza. Per annunciare alla madre che la raccolta era stata posta in vendita, Charles le aveva infatti scritto a luglio: «Questo libro, il cui titolo: “Fiori del male”, – dice già tutto, è adornato, lo vedrete voi stessa, di una bellezza sinistra e fredda; è stato fatto con furore e con pazienza».
Colpisce l’ossimoro dei due ultimi sostantivi, sovente ricorrenti nelle lettere del poeta e che ben esprimono la natura del suo lavoro: specialmente quello compiuto nel transito tra prima e seconda uscita dei “Fiori”, edizioni separate dal processo.
Dalla fine di agosto Baudelaire fu costretto a rimettersi sull’opera per rimediare all’amputazione giudiziaria. Iniziò la trasfigurazione: se prima poteva ancora vedersi come uomo libero da vincoli, adesso capiva che esisteva una morale comune e vigevano obblighi sociali cui era necessario sottomettersi. Doveva diventare un diverso poeta, pur non volendolo, come prova la lettera alla madre del febbraio 1858 in cui dichiara di essere pronto ad abbandonare la poesia per impegnarsi in altri generi: «Ho in testa una ventina di romanzi e due drammi», con cui intendeva «squarciare gli spiriti, stupirli».
E questo proprio mentre sorgeva la possibilità di una nuova edizione che gli faceva sbottare: «Quei maledetti Fiori del male che bisogna riprendere!». Per farlo ci voleva tanta calma, bisognava «ridiventare poeta, artificiosamente, secondo una volontà, rientrare in un solco che si credeva definitivamente scavato, trattare di nuovo un soggetto che si credeva esaurito, e tutto questo per ubbidire alla volontà di tre stolti magistrati». Da quel momento, e per i mesi successivi, disseminò versi su tante riviste seguendo un istinto imprevedibile e discontinuo. Vi si aggiunsero le grandi poesie dei Quadri di Parigi, centro tematico della nuova edizione che intanto prendeva forma, sezione in cui l’esperienza dello spazio metropolitano si integrava con la visione della modernità.
Baudelaire avrebbe potuto accettare la sentenza, fare della seconda edizione una semplice collezione senza le poesie soppresse e pensare ad altro. Ma non accadde: l’ispirazione si fece debordante e invece di tappare con sei nuovi canti gli squarci penali, le creazioni si moltiplicarono, la materia poetica fu redistribuita e, nel tentativo di rigenerare l’unità dell’opera, fu istituita una nuova sezione.
Ne era convinto Asselineau quando sostenne che «le ferite sono state ampiamente riparate da nuovi germogli», ma per una volta la sensibilità dell’amico sbagliava: la nuova edizione ha qualcosa d’incoerente. Le mutilazioni non vennero ricucite, rimasero come fenditure cicatriziali e ovattate. I nuovi “Fiori” furono altra cosa.
La seconda edizione vide la luce a gennaio 1861, fu l’ultima pubblicata ad autore in vita, fu davvero la «seconde édition» come suona il frontespizio, ebbe una tiratura di 1530 esemplari a due franchi cadauno, ma questa volta non apparve in vetrina a rue de Buci: gli editori si erano nel frattempo trasferiti prima in rue des Beux Arts, poi in rue Richelieu. Mancavano le sei liriche epurate, ma l’opera era «aumentata di trentacinque nuove poesie», tra cui dei capolavori in grado di collocare i Fiori in una rinvigorita atmosfera.
Dilatata rispetto alla prima, la nuova edizione sembra una vendetta, come Charles scrisse mesi dopo a de Calonne: «Il Tribunale esige che siano sostituite sei poesie. E io ne farò forse venti […] E mi arrangerò in modo da essere ben compreso; – a tratti starò in basso, poi molto in alto. Grazie a questo metodo, potrò calarmi fin dentro le passioni ignobili. Non resteranno che le persone in assoluta malafede a non cogliere la deliberata impersonalità delle mie poesie».
E più tardi a Victor Hugo: «Quando i Fiori del male ricompariranno, rigonfi di tre volte più di materia di quanta ne ha soppressa la giustizia, avrò il piacere di riportare in testa a questi pezzi il nome del poeta le cui opere mi hanno così tanto insegnato e hanno donato così tanta gioia alla mia giovinezza».
Ora, un poeta che annuncia di voler fare ben più di quel che esige un tribunale, di tenersi su un registro a volte basso a volte alto, di rigonfiare la materia della propria scrittura, un poeta che si esprime in questi termini è interamente collocato dentro la propria vicenda giudiziaria: è quell’evento a guidarlo nell’ideazione. La condanna del 1857 fece di Baudelaire un poeta diverso, forse un poeta consapevole.
La vicenda della seconda edizione è punteggiata da un singolare episodio. Quando dirottò sul figlio la causa di Baudelaire, Chaix d’Est-Ange senior era in attesa di nomina imperiale. La ricevette poco dopo, e fu il primo passo di un’aurea carriera: consigliere di Stato nel 1858, senatore nel 1862, vice-presidente del Consiglio di Stato nel 1863, insignito di tutti i gradi della Legion d’Onore.
Non sorprende allora che fosse sollecitato a giudicare la nuova opera. I fatti andarono così: quando apparvero i nuovi “Fiori” ci si accorse nei ministeri che i pezzi soppressi erano stati rimpiazzati da parecchie poesie che forse era bene esaminare.
All’inizio del febbraio 1861 la Direzione degli Affari Criminali fece recapitare, assieme al dossier processuale, un esemplare a Chaix d’Est-Ange. Il suo rapporto giunse il 21 febbraio: «Onorevole Guardasigilli, con il suo dispaccio del 6 di questo mese, Vostra Eccellenza ha voluto gentilmente affidarmi l’opera intitolata “I fiori del male” di Charles Baudelaire, invitandomi a esaminare se fosse opportuno intraprendere un’azione legale contro la pubblicazione dello scritto. Mi sono assicurato che la nuova edizione dei Fiori del male non riproducesse i sei pezzi la cui cancellazione è stata ordinata dalla sentenza del tribunale correzionale del 20 agosto 1857. Quanto ai trentacinque nuovi pezzi, aggiunti per sostituire quelli che motivarono la prima condanna, li ho esaminati, come lei mi ha raccomandato, con speciale attenzione; e sebbene siano manifestazione d’una immaginazione bizzarra fino all’incongruenza e alla dissolutezza, non mi sono sembrati latori di un qualche specifico reato. Ritengo pertanto che non sia necessario perseguire l’opera».
Queste idee furono ribadite in una informativa che Chaix d’Est-Ange trasmise al Ministero dell’interno il 26 febbraio in cui proponeva di astenersi da un procedimento legale il cui risultato si profilava dubbioso. Ma è il finale a colpire nel segno: un eventuale procedimento legale avrebbe concesso all’opera una deplorevole pubblicità. E invece, la situazione deplorevole era già stata innescata: l’immaginazione poetica di Baudelaire fu portata all’attenzione del mondo letterario proprio grazie al processo del 1857. Non perseguirla nel 1861 sarebbe stato comunque inutile: la giustizia aveva già suscitato ciò che voleva evitare, la fama del poeta bizzarro e dissoluto.
La sentenza aveva insomma condannato Baudelaire alla celebrità. Certo, non si fa storia col senno di poi, sorge però spontaneo chiedersi se l’assenza di un processo avrebbe lasciato Baudelaire e le sue poesie nell’oscurità. Ma la storia è appunto questa: il processo ci fu e Baudelaire entrò nell’immortalità.