Gli universitari dell’Unione europea dovranno aspettare ancora un po’ prima di poter tornare nel Regno Unito, e viceversa i giovani britannici non potranno beneficiare del programma di scambio Erasmus+, che permette ai ragazzi degli Stati partecipanti di studiare (o formarsi professionalmente) in un altro Paese. Nonostante il ritorno al potere dei laburisti, che hanno promesso una nuova fase nelle relazioni con Bruxelles, per Londra non è prioritario tornare a far parte di quello che la Commissione europea considera uno dei fiori all’occhiello dell’integrazione.
Il programma di scambio Erasmus+ (intitolato all’umanista Erasmo da Rotterdam, vissuto a cavallo tra il XV e il XVI secolo) opera nei settori dell’istruzione, della formazione, della gioventù e dello sport, che secondo l’esecutivo comunitario rappresentano «settori chiave che sostengono i cittadini nel loro sviluppo personale e professionale» e permettono agli individui di costruirsi come membri di una società democratica e multiculturale.
Vi partecipano tutti e ventisette gli Stati membri dell’Ue più alcuni Paesi terzi, che sono detti “associati”: Islanda, Liechtenstein, Macedonia del nord, Norvegia, Serbia e Turchia. È stato introdotto nel 1987 e nel periodo di bilancio 2021-27 il budget a disposizione per il programma è di oltre ventisei miliardi di euro. Dalla sua creazione, ha coinvolto nelle sue attività qualcosa come 15 milioni di cittadini europei.
Ora, da quando il Regno Unito ha formalmente lasciato l’Unione europea il primo febbraio 2020, ha abbandonato anche l’Erasmus, pur partecipandovi fino alla fine del periodo di bilancio 2014-2020, cioè al 31 dicembre 2020 (e portando a termine tutti i programmi avviati entro la fine di quell’anno).
Centinaia di migliaia di universitari del Vecchio continente hanno perso la possibilità di recarsi nelle isole britanniche per un periodo di scambio e, viceversa, i giovani d’Oltremanica non possono più usufruire dell’accesso al sistema educativo e formativo offerto dallo schema europeo.
Le uniche opportunità che restano aperte nei settori in cui opera il programma Erasmus sono dunque quelle cui possono accedere tutti i Paesi terzi non-associati. Si tratta dei master universitari nel consorzio internazionale Erasmus Mundus, rivolto agli istituti dei Paesi partecipanti in tutto il mondo, e delle attività dei centri Jean Monnet, che si focalizzano sugli studi relativi all’integrazione europea (circa il 40 per cento di tali centri si trovano fuori dei confini Ue).
E Londra non avrebbe per il momento intenzione di rientrare nel programma del blocco, come comunicato dal nuovo governo di Keir Starmer. Non si è nemmeno voluta associare in qualità di Paese terzo (a differenza degli Stati extra-Ue menzionati prima, e nonostante una proposta in tal senso da parte della Commissione europea), adducendo tra le motivazioni il fatto che gli studenti inglesi partecipavano poco all’Erasmus poiché non conoscevano le altre lingue, il che veniva a costare alle casse statali una cifra nell’ordine dei trecento milioni di euro netti all’anno.
Una mossa che ha suscitato diffusa opposizione nella società britannica con proteste da parte di studenti, accademici, associazioni giovanili e reti di attivisti che speravano in una nuova era delle relazioni con il blocco dopo l’uscita di scena dei Conservatori.
Stando a una recente indagine dell’istituto di ricerca More in common oltre la metà degli elettori britannici (cinquantuno per cento) ritiene che rientrare nel programma sarebbe una buona idea, mentre a essere contrario è solo il quindici per cento. Come prevedibile, le percentuali variano a seconda dell’appartenenza politica: con l’eccezione di chi vota per il partito Reform UK di Nigel Farage (il “padre nobile” della Brexit), a sostenere il ritorno all’Erasmus è la maggioranza assoluta dei Remainers (sessantotto per cento favorevoli e 5 per cento contrari) e quella relativa dei Leavers (trentotto per cento contro ventisei per cento).
Un’eventuale ripresa della partecipazione nello schema Erasmus dipenderà, semmai, dai contorni di un futuro nuovo accordo di cooperazione tra Ue e Regno Unito, che per il momento è ben lungi dall’essere finalizzato. Al contrario, Oltremanica è partito nell’anno accademico 2021/22 il programma Turing (intitolato ad Alan Turing, il padre dell’informatica moderna), per il quale sono stati stanziati centodieci milioni di sterline (più di centotrenta milioni di euro).
Ma sembra che, al di là dei proclami governativi, si siano registrati diversi problemi tra cui, ad esempio, serie difficoltà di accessibilità per le fasce economicamente più svantaggiate della popolazione. In ogni caso, il programma non è bidirezionale come l’Erasmus: consente solo ai giovani britannici di studiare e lavorare all’estero, ma non prevede l’ingresso di universitari e giovani lavoratori nel Regno Unito.