Orazio de Attellis (1774-1850) fu uno dei patriarchi del radicalismo moderno. Secondogenito del marchese di Sant’Angelo, sconfessò – sin da giovanissimo – la vita nobiliare per abbracciare le armi, la cospirazione e la stampa radicale. Di formazione giacobina e repubblicano intransigente, navigò per intero l’età delle rivoluzioni. Dopo un intenso apprendistato negli ambienti settari del Triennio repubblicano, con il pronunciamento del 1° luglio 1820, a Napoli, salì alla ribalta del fronte liberale quale antagonista dei leader dell’insurrezione.
Esule combattivo e pamphlettista polemico a Barcellona e a Città del Messico, tra il 1821 e il 1825, e paladino dell’indipendenza texana, a New Orleans, dal 1836, incarnò l’archetipo dello sconfitto nel mondo della Restaurazione. In una fase di straordinarie trasformazioni nella definizione degli equilibri nel «Sud globale»,affrontò il naufragio del costituzionalismo in Europa, patì le convulsioni del nation-building in Messico e contese con la fazione whig negli Stati Uniti.
La parabola di de Attellis costituisce un caso paradigmatico per lo studio delle «scie della rivoluzione». Protagonista e testimone di tre eventi insurrezionali, sfociati in altrettanti cambi di regime, invasioni militari e guerre civili, mise la propria condizione di proscritto al servizio del rilancio del progetto rivoluzionario, in un procedimento a distanza di revisione storica della sconfitta, attraverso cui è possibile comprendere aporie, contrapposizioni e dialettiche interne al liberalismo.
In Spagna, dopo la restaurazione di Ferdinando I, la sua produzione memorialistica sul fallimento della rivoluzione napoletana testimoniò l’asimmetria tra le attese trasformative del moto liberale e la svolta disciplinata dell’ottimestre costituzionale. Dai ranghi dell’opposizione, formalizzò un’aspra critica ai capi della cupola insurrezionale per propugnare il primato del programma radicale su quello moderato e filo-monarchico, così come per enfatizzare la presunta matrice democratico-egualitaria della Costituzione di Cadice.
In Messico, in seguito all’intervento dei Centomila figli di San Luigi, sollevò la questione del riflusso della rivoluzione in Europa meridionale, travolta dal ritorno dell’assolutismo. Oltre alla delusione per l’epilogo del Trienio, ad affiorare era una visione palingenetica e salvifica del repubblicanesimo, ultimo baluardo alla crociata della contro-rivoluzione europea, rispetto a cui indicò il quadro di sfide – in materia di politica interna, economica e internazionale – che attendeva le repubbliche indipendenti, minacciate dalle tentazioni di riconquista borbonica.
A New Orleans, infine, a partire dall’affaire della sua espulsione da Città del Messico, mise sotto accusa la governance post-coloniale, aderendo alla causa dell’emancipazione del Texas, quale ultimo tentativo di rivincita sull’autocrazia di Antonio López de Santa Anna.
Anti-borbonismo, federalismo e repubblicanesimo in de Attellis marcarono il percorso di transizione dall’euforia al disincanto del post-1820, confluendo in un programma che era l’espressione di una visione alternativa del progetto liberale e, al contempo, il risultato del complesso apprendistato alla disfatta rivoluzionaria.