Stupidario socialDestra e sinistra hanno vissuto le Olimpiadi come in curva allo stadio

Nelle ultime due settimane abbiamo visto le solite posizioni preconfezionate dei due schieramenti: da una parte l’ideologia woke pronta a schierarsi per qualunque buona causa, a costo di rivelare le sue contraddizioni, dall’altra l’inadeguatezza di una destra conservatrice e reazionaria

AP/Lapresse

Ve li ricordate gli ultimi trionfi della nostra Nazionale ai Mondiali di calcio? Sì, bisogna un po’ sforzare la memoria, ma come dimenticare le strade e le piazze in festa, l’Italia intera immersa in un bagno mistico di comunione nazionale, effimera e illusoria, e però calda e realmente sentita, oltre le distinzioni di tifo e di appartenenza politica. Quei precari miracoli non si sono ripetuti con le Olimpiadi.

Una volta le Olimpiadi univano il mondo, non solo le singole nazioni, facevano temporaneamente tacere le armi, esultare insieme per le vittorie. Nell’anno di (dis)grazia 2024 sono nate disunite (fuori la Russia, come già in edizioni passate erano stati fuori per diverse ragioni ventisette Paesi africani, poi gli Stati Uniti, poi l’Unione Sovietica), tra un canestro e un salto vincente da qualche parte del mondo saltavano in aria gli edifici e il sangue scorreva a fiumi, e quanto alle vittorie…

Domenica pomeriggio, nell’ultimo giorno di gare, abbiamo tutti gioito per il travolgente successo dell’Italvolley femminile. Oddio, tutti… Oddio, gioito… Qualche secondo dopo la decisiva schiacciata vincente di Paola Egonu i social si sono riempiti di post che, più che inneggiare all’impresa, l’hanno usata come spunto per rinfacciare al generale Roberto Vannacci le sue trucibalde considerazioni sull’italianità della stessa Egonu. Lo schieramento progressista, in questo caso, ha irriso quello più beceramente retrivo. Ma, da una sponda politica come dall’altra, tutto lo svolgimento dei Giochi è stato vissuto come un’occasione per dare la stura a posizioni preconfezionate, in una rituale schermaglia parolaia di due grandi curve social l’una contro l’altra armata di deformanti lenti ideologiche.

Del resto era stata la controversa cerimonia inaugurale a incendiare gli animi, scientemente esibendo una caratterizzazione ideologica il cui meritorio intento inclusivo era spinto ai limiti della provocazione – un certo estremismo, si sa, alberga da sempre nei cuori francesi. Da quel momento, apriti cielo. Per la curva di destra, Paris 2024 (“le Macroniadi”) è stato tutto uno schifo, un fallimento, villaggio olimpico invivibile, vermi nel cibo, nuotatori costretti a gareggiare nella melma della Senna in ossequio alla grandeur del padrone di casa (dell’Eliseo). La curva di sinistra ridimensionava le accuse, spiegava, circostanziava, se necessario chiudeva un occhio.

Per non dire della querelle sulla pugile algerina intersex. Nessuno che si sia posto con seri argomenti di fronte al problema, che indubbiamente esiste e non è di semplice definizione, come è dimostrato dalle oscillazioni del Cio da un’Olimpiade all’altra. No, da destra si doveva apoditticamente parlare di Imane Khelif al maschile, gridare alla vergogna, allo scandalo, e naturalmente mettere alla sbarra l’ideologia woke che in questo caso si sarebbe paradossalmente risolta in un boomerang per la stessa causa eminentemente woke del femminismo; di conseguenza a sinistra si era tenuti a sostenere la piena femminilità dell’atleta, in base alla effettiva distinzione tra intersessualità e transessualità, e quindi alla ragazza non si poteva negare la legittima ambizione a competere.

Nell’isterismo della contrapposizione, e a suo corollario, è finita triturata oltre ogni eventuale colpa la povera Angela Carini, l’avversaria italiana di Khelif, quella che ha abbandonato il ring in lacrime dopo quarantasei secondi (cosa, va detto, non accaduta alle successive avversarie via via eliminate dall’algerina): che è diventata, da una parte, un’eroina della femminilità oltraggiata, vittima sacrificale dell’aberrazione woke, mentre dall’altra è stata inchiodata all’immagine della commediante pronta a farsi strumentalizzare della propaganda reazionaria (tanto che alcuni l’hanno vaticinata prossima candidata in qualche lista di Fratelli d’Italia).

Da ultimo è finito nel tritacarne persino Bruno Vespa, l’uomo di tutte le stagioni, amico di tutti i governi, di centro o destra o sinistra o tecnici che siano, e quindi adesso amico del governo Meloni e vicino al suo sentire: che per una volta ha voluto dire “qualcosa di sinistra”, ma di una sinistra così innocua e smussata da neppure sembrare tale. E invece no, riapriti cielo.

«Straordinaria la nazionale pallavolista femminile. Complimenti a Paola Enogu e Myriam Sylla: brave, nere, italiane. Esempio di integrazione vincente», ha postato il giornalista su X – incespicando sul cognome della Egonu ma vabbè, un refuso come nei post se ne trovano a carrettate. La bufera social non aspettava altro e si è puntualmente scatenata, dai mantici del benpensantismo illuminato-progressista, variamente e coloritamente articolandosi intorno all’argomentazione che le due pallavoliste sono nate in Italia e a tutti gli effetti italiane, e quindi non avrebbero avuto alcun bisogno di integrarsi. Davvero? Andate a dirlo ai ragazzi di seconda generazione, figli di immigrati ma nati in Italia, che vivono tra miseria, rancori e emarginazione nelle periferie più squallide delle nostre realtà urbane. Tutti felicemente integrati?

Per concludere, un’osservazione che forse non c’entra molto con quanto precede, ma forse sì. Nell’infinito stupidario social fiorito intorno alle Olimpiadi parigine, c’è un commento che si è letto spesso, ritualmente proposto con pretese di originalità, a proposito di qualche atleta italiano che si è ben distinto senza però raggiungere il podio: «Questo è un quarto (quinto, sesto) posto che vale l’oro». E perché mai? È un buon risultato, d’accordo, applausi, ma l’oro è un’altra cosa e l’ha vinto qualcun altro. La banalità ha però un sottotesto: ossia che in quella determinata specialità non c’è gara perché le prime piazze sono monopolizzate da atleti all’uopo fisicamente più predisposti, in genere di colore, per esempio etiopi e keniani nelle corse di resistenza. E allora? Inconsapevole e bonaria, sembra quasi di scorgere l’irresistibile riaffiorare di una tendenza latente alla discriminazione. Come quella di cui si sono fatti portatori consapevoli i nemici di Imane Khelif. Solo che in questo caso è sgorgata dalle tastiere dei suoi paladini.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter