Populismo fossileL’inaccettabile immobilismo dell’Ungheria di Viktor Orbán sul clima

Oltre a tenere in ostaggio alcune norme verdi di Bruxelles, il leader autoritario e russofilo continua a tutelare gli interessi di Vladimir Putin: il suo Paese è ancora dipendente dal petrolio di Mosca, e non ha intenzione di farne a meno

AP Photo/LaPresse

Il primo luglio scorso, l’Ungheria ha ufficialmente iniziato il suo semestre di presidenza del consiglio dell’Unione europea, l’organo che riunisce i ministri dei Paesi membri e che insieme all’europarlamento è responsabile di negoziare e adottare la legislazione comunitaria. Per sei mesi lo Stato incaricato della presidenza decide le priorità dei lavori del Consiglio. Gli obiettivi dell’Ungheria per questo stati annunciati dal primo Ministro Viktor Orbán in un articolo per il Financial Times. Le priorità elencate: ridimensionare le politiche di transizione verde, ritenute da Orbán misure ideologiche imposte dall’Ue senza consultare i settori industriali; frenare l’immigrazione attraverso accordi con i Paesi di origine e tutelare gli agricoltori.

Il secondo evento più importante dell’estate dell’Ue è avvenuto il 18 luglio: a Strasburgo, Ursula von der Leyen è stata rieletta presidente della Commissione, grazie soprattutto ai voti decisivi del gruppo parlamentare dei Verdi. Gli ambientalisti sono entrati così di fatto nella maggioranza che esprimerà la nuova Commissione, organo esecutivo dell’Ue e unica istituzione ad avere il compito dell’iniziativa legislativa. 

Con l’appoggio degli ecologisti, dunque, non ci sarà quel passo indietro nelle politiche climatiche che diversi politici e partiti pronosticavano soprattutto nell’ultimo periodo della precedente legislatura e durante la campagna elettorale per il rinnovo dell’europarlamento. Il dietrofrónt era sostenuto dai governi populisti e di estrema destra dell’Unione. Tra tutti l’Ungheria guidata da a quattordici anni da Viktor Orbán. Il governo ungherese ha ripetutamente ostacolato l’approvazione di misure per il contrasto al cambiamento climatico, dichiarandole norme favorevoli solo ai Paesi ricchi: esempio di come leader e partiti populisti abbiano negli anni influenzato e rallentato gli obiettivi climatici del blocco dei Ventisette.

Un caso recente riguarda la Nature restoration law, la legge sul ripristino degli ecosistemi, approvata in via definitiva il 17 giugno 2024 dopo due anni di negoziati. A causa dei compromessi al ribasso richiesti da vari Stati membri, tra cui l’Ungheria e l’Italia, il risultato finale è una norma meno ambiziosa rispetto alla versione iniziale.

Anche nella nuova legislatura sarà difficile che l’Ungheria voti a favore di obiettivi importanti per la transizione verde, come già hanno sottolineato diversi analisti. A febbraio 2024, la Commissione ha proposto un piano per la riduzione entro il 2040 del novanta per cento delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990. Un passo intermedio per raggiungere le emissioni nette zero nel 2050, come richiesto dal Green deal. Spetterà al nuovo esecutivo il compito di fare una proposta legislativa da negoziare con europarlamento e Consiglio, ma l’Ungheria ha già manifestato il suo iniziale scetticismo. Orbán ha dichiarato che non vuole gravare sulle famiglie con i prezzi dell’energia sempre più alti, in un contesto in cui molti cittadini sono già in difficoltà economica.

Il primo ministro ungherese, che è anche il più longevo leader europeo, sa come sfruttare questo malcontento per rafforzare la sua posizione. Il suo rapporto con le politiche di contrasto al riscaldamento globale è complesso e – come ha spiegato István Bart, esperto di policy climatiche del centro studi ungherese Energia Klub – è dovuto in gran parte alla sua retorica populista per la ricerca di consenso. Mentre in Europa si oppone alle misure verdi, in Ungheria – a partire dalla crisi energetica iniziata dopo l’invasione russa dell’Ucraina – Orbán sta cercando di parlare a favore delle energie rinnovabili. «La mia ipotesi è che il governo abbia raccolto, tramite alcuni sondaggi, le opinioni delle persone riguardo la crisi climatica e sta di conseguenza cambiamento narrativa», ha detto Bart.

Nel suo discorso sullo stato della sua Nazione del 2020, Orbán ha definito la protezione del clima e della natura come «il nostro dovere cristiano e patriottico». Nello stesso anno, l’esecutivo ha introdotto una legge con l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Tuttavia, «anche se il governo ora mira ufficialmente al net zero, non fa molto per raggiungere questo obiettivo e sicuramente non farà nulla che possa scomodare gli elettori o gli interessi commerciali», ha affermato Bart.

Tra gli interessi che Orbán continua a tutelare ci sono quelli delle compagnie fossili e, soprattutto, quelli della Russia di Vladimir Putin. L’Ungheria dipende per il settanta per cento dalle importazioni di petrolio russo e non ha alcuna intenzione di farne a meno. Il 22 luglio, il Paese ha chiesto all’Ue di agire contro l’Ucraina per aver adottato sanzioni che bloccano il transito del greggio di Mosca, sostenendo i presunti rischi per la sicurezza energetica di Budapest.

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Come richiesto dall’Unione europea a tutti gli Stati membri, l’Ungheria ha aggiornato il suo Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec) e lo ha presentato alla Commissione europea nel settembre 2023. Gli obiettivi fissati sono più ambiziosi dei precedenti: riduzione delle emissioni del cinquanta per cento entro il 2030, rispetto al quaranta per cento del precedente piano. Un’analisi del documento è stata fatta dal gruppo di ricerca del Climate change performance index (Ccpi), un centro studi indipendente che monitora le prestazioni dei Paesi in materia di mitigazione della crisi climatica. 

Il gruppo pubblica dal 2005 una classifica degli sforzi climatici di sessantasette Paesi, che collettivamente rappresentano più del novanta per cento delle emissioni globali di gas serra. Nel ranking di quest’anno l’Ungheria è quarantanovesima, e il Ccpi ha sottolineato che l’obiettivo di riduzione delle emissioni proposto dal Pniec ungherese è comunque inferiore al taglio del cinquantacinque per cento fissato dall’Ue.

Il piano ungherese, inoltre, prevede che nel 2030 il cinquantacinque per cento dell’energia pulita del Paese sarà “bio”: biocarburanti, biogas e per la stragrande maggioranza biomassa proveniente da legname. Gli esperti del Ccpi hanno criticato questa scelta perché non esiste in Ungheria una legge contro la deforestazione e l’uso di suolo e, inoltre, il disboscamento è consentito anche nelle aree protette. 

C’è poi una scarsa volontà di abbandonare i combustibili fossili. In Ungheria, una sola centrale a carbone è responsabile del quattordici per cento delle emissioni del Paese. Il governo prevede di chiuderla entro il 2030, ma solo se due nuove centrali a gas inizieranno a funzionare. Nel Pniec, inoltre, non ci sono indicazioni significative per l’efficientamento energetico degli edifici: il governo continua a consentire la costruzione di nuove case senza requisiti di efficienza. Nota positiva è l’introduzione di una una tassa sui biglietti aerei (anche se piuttosto modesta) e la modifica al divieto che dal 2016 impediva di fatto l’installazione di turbine eoliche nel Paese.

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