Una delle prime cose che si imparano quando si studia la storia della Cina è che pensarla come una linea retta non è esattamente la maniera migliore per capirla. Piuttosto, è utile osservarla come un susseguirsi di fasi cicliche, legate ai governi delle diverse dinastie. Un alternarsi di periodi di splendore e decadenza, fasi di sviluppo in cui grandi casate hanno saputo unificare il Paese, poi momenti di divisione e scontri interni. Ognuno di questi periodi ha poi avuto la propria influenza culturale, che in qualche maniera va a comporre quella che è la Cina oggi. Una valutazione su quale punto del ciclo stia attraversando la Repubblica Popolare Cinese oggi è materia per un saggio specialistico, ma l’esempio serve perché lo stesso approccio torna utile nel cercare di capire il metodo di produzione del baijiu, il più celebre distillato cinese. Anche in questo caso, con le dovute differenze corrispondenti alle diverse tipologie di prodotto esistenti, il procedimento sembra svilupparsi in una serie di cicli di fermentazioni e distillazioni, che sono andate definendosi nel corso di almeno due millenni di storia.
Dalla dinastia Han alle varietà di baijiu contemporanee
Il baijiu 白酒 è il distillato nazionale cinese e nel 2023 se ne sono prodotti circa 629 milioni di ettolitri, per un mercato che vale oltre 756,3 miliardi di yuan. I dati sono stati presentati durante la Baijiu Academy organizzata in occasione della ventiseiesima edizione della Spirits Selection a Renhuai, città simbolo del baijiu sauce-aroma, che quest’anno ha ospitato la competizione internazionale di spirits del Concours Mondial de Bruxelles.
Le province produttrici sono almeno una decina e tra le principali ci sono Sichuan, Shanxi e Guizhou (dove si trova Renhuai), patria di Moutai, il brand più celebre e ricercato di tutto il Paese, che lo scorso anno ha totalizzato un ricavo netto di 74,73 miliardi di yuan.
Il termine baijiu significa semplicemente alcol bianco, ma se il nome – un po’ come il liquido alla vista – appare di una semplicità cristallina, il metodo di produzione è uno dei più complicati esistenti nel mondo dei distillati e si presenta come una stratificazione di passaggi, che si è evoluta nel corso di almeno due millenni.
Le prime testimonianze della distillazione sembrano risalire al periodo della dinastia Han (206 a.C.-210 d.C.), anche se le origini di questa tecnica sono piuttosto incerte e potrebbero essere più lontane. Da allora la produzione si è sviluppata in maniera artigianale in un’infinità di variabili che, a seconda degli ingredienti e del metodo produttivo, oggi vengono riassunte in dodici differenti tipologie di baijiu, tre delle quali rappresentano da sole l’ottanta per cento del mercato. Si tratta di sauce-aroma, strong-aroma e light aroma. Le altre varietà sono prodotte in quantità minori e spesso legate a un’area geografica più circoscritta. Sono rice-aroma, phoenix-aroma, mixed-aroma, laobaigan-aroma, dong-aroma,extra-strong-aroma, special-aroma, sesame-aroma e chi-aroma.
Un fermentato solido
Quando pensiamo a un distillato, potremmo essere portati a immaginare che il procedimento parta da un fermentato liquido, dal quale, grazie a un alambicco, si estraggono l’alcol e tutta una serie di altre sostanze. Nella stragrande maggioranza dei casi invece – un po’ come succede per la nostra grappa – la produzione del baijiu cinese avviene a partire da un fermentato solido o semi-solido, costituito da una mistura di cereali, tra cui sorgo, frumento, riso, riso cotto, mais, orzo e talvolta anche piselli.
Per innescare la fermentazione si utilizza il qu 曲, una sorta di madre a base di cereali impastati con acqua calda, ricca di enzimi, batteri e funghi, che viene tradizionalmente preparata in occasione del Dragon Boat Festival (il quinto giorno del quinto mese del calendario lunare cinese, a fine maggio o inizio giugno per il nostro calendario) e poi fatta stagionare in modo che al suo interno si formino i microrganismi necessari. Di qu ne esistono almeno quattro tipi, a seconda del metodo di preparazione. Tra i principali e più caratteristici c’è il daqu 大曲 (letteralmente grande qu), che può essere lavorato a media o alta temperatura e che viene conservato sotto forma di grossi pani compatti.
La mistura di cereali viene quindi inumidita con acqua calda, si aggiunge il qu e il tutto viene prima ammassato a terra in grosse pile e poi messo a fermentare all’interno di vasche interrate, generalmente in pietra o in terracotta, che vengono sigillate per evitare il passaggio di ossigeno. Dopo un periodo variabile, in genere di alcune settimane, il fermentato viene tolto dalle vasche e trasferito in grossi alambicchi di acciaio e legno. All’interno viene fatto passare del vapore e il contenuto viene così distillato.
Come si produce il baijiu, un metodo non lineare
Presente la questione dei cicli storici? Ecco, un po’ come per la storia cinese, la produzione del baijiu non avviene in maniera esattamente lineare ma attraverso una sequenza ciclica di fermentazioni e distillazioni, che cambia in base alla tipologia di baijiu da produrre. Prendiamo ad esempio il light-aroma, quello con gli aromi più delicati e di più facile approccio per un consumatore occidentale. In questo caso produce una mistura di sorgo macinato e acqua calda a cui, una volta raffreddata, si aggiunge il qu e si trasferisce il composto a fermentare in contenitori di ceramica interrati per circa ventotto giorni. Poi si sposta tutto nell’alambicco e si distilla ottenendo un primo batch distillato. L’operazione si ripete quindi una seconda volta: raffreddamento, seconda addizione di qu, una nuova fermentazione e seconda distillazione, da cui si ottiene un secondo batch, che sarà poi unito al primo per creare il prodotto finale, dopo un periodo di riposo in anfore di terracotta.
Semplice fin qui, ma se passiamo al sauce-aroma le cose si complicano. Una volta aggiunto il qu all’iniziale mistura di sorgo e acqua calda, si ripetono diversi cicli di distillazione, aggiunta di nuovi cereali, rifermentazione e ridistillazione, prima di arrivare ad ottenere tutte le parti di distillato necessarie per il blend. Di solito per spiegarne il procedimento i produttori usano il numero 12987: 1 come un anno per indicare la durata del ciclo produttivo, 2 come i due momenti in cui bisogna aggiungere cereali, 9 perché per nove volte bisogna utilizzare vapore, 8 è il numero delle fermentazioni e 7 quello delle distillazioni.
Anche il processo produttivo dello strong-aroma prevede diversi cicli di fermentazione e distillazione, con la differenza che in questo caso la vasca di fermentazione ha un fondo di argilla che gioca un ruolo fondamentale. L’argilla contribuisce infatti a influenzare l’insieme di microrganismi che intervengono nella fermentazione, portando anche differenti componenti aromatiche al distillato finale. Inoltre per questa tipologia le distillazioni avvengono per strati, dal più superficiale al più profondo, con una particolare attenzione all’ordine in cui ogni batch viene poi reinserito nella vasca per una nuova fermentazione.
Di che cosa sa il baijiu
Adesso che si ha un’idea degli ingredienti e dei principali metodi di produzione del baijiu, la domanda da porsi è: cosa aspettarsi nel bicchiere? Da consumatori occidentali, con un palato occidentale e gusti occidentali, una premessa è necessaria. Occorre prepararsi alla possibilità che al momento dell’assaggio alcune sensazioni piuttosto forti e caratteristiche di questi distillati ci sembrino strane o addirittura dei difetti. Magari invece per un appassionato cinese si tratta di aromi tipici e piacevoli, perfettamente in linea con la categoria di prodotto. Ragion per cui, tanto vale aspettarsi un sorso diverso dal solito e anche una discreta sferzata alcolica, dato che questi distillati hanno una gradazione che supera frequentemente i cinquanta gradi (in questo articolo trovate qualche consiglio per prepararvi al sorso).
Una delle occasioni più tipiche per consumare baijiu sono le cene di lavoro – sarà capitato a chi ha rapporti commerciali e viaggia talvolta in Cina. In questo caso il baijiu diventa il protagonista di ripetuti brindisi preceduti dall’esclamazione «Gan bei!», letteralmente «svuotare il bicchiere».
Volendo degustare con un po’ più di calma, gli aromi più semplici da approcciare, come anticipato, si trovano nei baijiu della tipologia light-aroma. All’inizio si può venir accolti da un odore un po’ acetico, come di solvente, che poi gradualmente si attenua per lasciare spazio a sensazioni fruttate di mela, frutto della passione, cereali, ma anche note erbacee o floreali di rosa, presenti sia al naso che alla fine del sorso.
Con lo strong-aroma si inizia a mettersi alla prova. Gli aromi appaiono molto fruttati, in genere ricordano frutta tropicale, come ananas, passion fruit, mango e litchie, ma in sottofondo si percepisce una nota totalmente diversa. Per un italiano il rimando più diretto è al formaggio stagionato, un verde, un gorgonzola. Si tratta di quello che i cinesi traducono con pit e pit-bottom aroma, la firma caratteristica del fondo argilloso della vasca interrata in cui avviene la fermentazione.
Il sauce-aroma è forse quello più complesso e può regalare sorsi cangianti e soddisfacenti. Tanto per cominciare – lo dice il nome – uno degli aromi caratteristici è quello che ricorda la salsa di soia. A questo si aggiungeranno una serie di altre sensazioni che possono andare dai richiami dolci a quelli salati, come i funghi secchi (è un aroma tipico del qu), i cereali e il pane appena sfornato, ma anche note di frutta, cacao e tostature, che spesso si ripresentano alla fine del sorso in un finale lungo e morbido.
Non c’è che dire, sicuramente alla scoperta del baijiu non ci si annoia. E queste solo alcune delle tipologie esistenti.