Alla fine Ursula von der Leyen, presidente (ri)eletta dell’esecutivo comunitario, ha presentato il suo nuovo collegio all’Europarlamento martedì 17 settembre. Qualche novità, diverse conferme, sicuramente delle polemiche. A partire da quelle che hanno portato alle dimissioni a sorpresa, lunedì, di Thierry Breton, per continuare con quelle intorno alla vicepresidenza esecutiva offerta a Raffaele Fitto, il candidato commissario italiano che rappresenta un partito (i Conservatori e riformisti) di destra radicale (il quale peraltro non ha nemmeno sostenuto il bis della popolare tedesca al Berlaymont).
Stando a quanto ha dichiarato Ursula von der Leyen, la sua seconda Commissione non sarà organizzata per compartimenti stagni ma, al contrario, cercherà di realizzare un certo livello di coordinazione orizzontale tra i vari portafogli. L’obiettivo sarebbe quello di dare maggiore fluidità al lavoro del collegio, consentendo una certa dose di integrazione delle attività che riguardano ambiti tra loro interconnessi. Dunque, secondo questo principio, i dossier relativi al Patto verde europeo saranno spacchettati e distribuiti tra diversi commissari, che sono stati incaricati collettivamente dalla presidente di sviluppare un “piano industriale pulito” per l’Unione.
Teresa Ribera
La socialista spagnola Teresa Ribera otterrà nel nuovo esecutivo comunitario la delega alla Transizione pulita, giusta e competitiva, che accoppierà con quelle al Green deal e alla Concorrenza e, soprattutto, con una vicepresidenza esecutiva. Ribera, madrilena classe 1969, si è sempre occupata di politiche ambientali: nel 1995 è entrata come funzionaria al ministero dell’Ambiente (all’epoca accorpato a quello delle Opere pubbliche e dei trasporti), nel 2004 ha assunto la direzione dell’Ufficio per i cambiamenti climatici (un organo di consulenza del governo) e nel 2008 è diventata segretaria di Stato per il Cambiamento climatico nel secondo esecutivo del socialista Luis Rodríguez Zapatero.
È tornata al governo nel 2018, nel primo governo di Pedro Sánchez, e da allora è rimasta in carica come ministra alla Transizione ecologica. Nel corso di questi sei anni, Ribera si è guadagnata un riconoscimento piuttosto solido in Europa portando a termine numerose riforme in ambito climatico e ambientale, come la prima legge spagnola sulla transizione energetica (risalente al giugno 2023) che punta a raggiungere la neutralità carbonica entro la metà del secolo e che comprende, tra le altre cose, un piano idrologico da ventidue milioni di euro per il quinquennio 2022-2027.
Proprio in quella legislazione, tuttavia, è contenuto un elemento che ha fatto storcere diversi nasi in giro per il Vecchio Continente, e che potrebbe costarle più di qualche bastone tra le ruote durante il suo mandato da commissaria. Si tratta di un piano per la chiusura graduale delle centrali nucleari entro il 2035: già nel 2022 Ribera aveva puntato il dito contro la decisione di includere l’energia atomica nella tassonomia verde, bollandola come un “grande errore”.
Una posizione che l’ha messa in opposizione al fronte dei “nuclearisti” in Ue, una coalizione di almeno otto Stati membri (Bulgaria, Cechia, Finlandia, Francia, Polonia, Romania, Slovacchia e Ungheria) che vorrebbe aumentare la capacità nucleare del blocco del cinquanta per cento entro la metà del secolo. Ma Ribera non pare particolarmente amata, del resto, nemmeno tra le fila del Partito popolare europeo (Ppe) di von der Leyen, che da tempo sta prendendo a picconate proprio quelle legislazioni ambientali che la stessa presidente della Commissione aveva promosso nel suo primo mandato.
Wopke Hoekstra
Al popolare olandese Wopke Hoekstra, riconfermato per un secondo mandato al Berlaymont (dov’era entrato nell’autunno 2023 per sostituire il connazionale Frans Timmermans nella gestione dei dossier climatici), spetteranno i portafogli relativi al Clima, alla Neutralità carbonica e alla Crescita pulita, cui si aggiungeranno quelli della Diplomazia climatica, della Decarbonizzazione e della Tassazione.
Nato nel 1975 a Bennekom, Hoekstra è stato eletto parlamentare nel 2011 e poi ha ricoperto due volte incarichi ministeriali sotto il premier liberal-conservatore Mark Rutte: come responsabile delle Finanze dal 2017 al 2021 e poi come titolare del Commercio dal 2022 al 2023. Le sue credenziali ambientaliste sono state messe in dubbio dagli eurodeputati in fase di audizione quando, a ottobre, ha dovuto rimpiazzare Timmermans (soprannominato lo “zar” del Green deal): a far dubitare i membri della commissione Ambiente era soprattutto il passato dell’olandese nella Shell (gigante britannico degli idrocarburi), nonché le sue posizioni favorevoli all’esplorazione petrolifera e contrarie sia allo stop all’estrazione di gas naturale che alla riduzione delle emissioni di azoto.
Tra le altre “ombre” del suo passato ci sono un coinvolgimento nell’inchiesta sui Panama papers e delle uscite ben poco solidali nei confronti dell’Italia e della Spagna (i due Paesi più colpiti dalla prima ondata del Covid-19), che secondo lui non andavano aiutate perché non avevano saputo tenere i propri conti pubblici in ordine.
Jessika Roswall e Dan Jørgensen
Un’altra popolare, stavolta dalla Svezia, gestirà invece il portafoglio dell’Ambiente, della Resilienza idrica e dell’Economia circolare competitiva: è Jessika Roswall, classe 1972 di Uppsala. Avvocata specializzata in diritto penale e familiare, è attiva nella politica nazionale dal 2010, quando è stata eletta al Riksdag, il Parlamento monocamerale di Stoccolma. Dal 2022 e fino all’inizio di settembre è stata ministra agli Affari europei e alla cooperazione nordica nel governo di Ulf Kristersson, un esecutivo di centrodestra che si regge in piedi grazie ai voti della destra radicale.
Infine, a completare il poker di commissari che si dedicheranno alle politiche green dell’Ue per i prossimi cinque anni, ci sarà il socialdemocratico danese Dan Jørgensen, che ha ottenuto le deleghe all’Energia e all’Abitazione (un nuovo portafoglio introdotto da von der Leyen per il suo secondo mandato). Jørgensen è l’attuale ministro alla Cooperazione allo sviluppo e alla Politica climatica globale di Copenhagen, carica che ricopre dal 2022 nell’esecutivo della premier Mette Frederiksen.
Coordinerà così, oltre alla risposta all’emergenza abitativa che da tempo attanaglia il Vecchio continente, anche l’approvvigionamento e la sicurezza energetica dei Ventisette, in una fase storica in cui cercano (con esiti variegati) di affrancarsi progressivamente dal petrolio e dal gas russi – mentre continuano a prendere metano da altri Paesi (tra cui diversi alleati della Federazione, come l’Azerbaigian e l’Algeria).
Nelle intenzioni di von der Leyen, il commissario danese dovrà dare un impulso a «ridurre la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili» e spingere sull’acceleratore per «aumentare il potere di mercato dell’Ue nel mercato energetico globale», anche attraverso appalti congiunti e un salto di qualità nell’efficienza energetica.
Vedremo se questa squadra riuscirà a centrare gli ambiziosi obiettivi climatici e ambientali che l’Ue si è imposta nella legislatura appena conclusa (almeno quelli che non sono già stati sconfessati). Per il momento, il co-capogruppo dei Verdi a Strasburgo, Bas Eickhout, ha dichiarato che «sul futuro del Green deal siamo ottimisti» poiché di questo si occupano «diversi portafogli cruciali» e «c’è l’opportunità di proseguire» con questo lavoro «in modo ampio e ambizioso». Ma la strada da fare non è per niente in discesa, e per sua stessa ammissione va prestata attenzione a non creare una falsa opposizione tra politiche ambientali e competitività, poiché «sono due facce della stessa medaglia».