Confindustria nei suoi contratti ha già retribuzioni più alte dei nove euro l’ora previsti dalla proposta della sinistra sul salario minimo. Quindi agli industriali la questione non interessa. Punto. Il neo presidente di Confindustria Emanuele Orsini lo aveva già detto appena eletto. E nel suo primo discorso all’assemblea generale degli industriali lo ha ripetuto, chiudendo definitivamente all’ipotesi di introdurre anche in Italia un salario minimo legale, perfettamente in linea con la politica di governo e facendo retromarcia dopo le aperture – seppure minime – del suo predecessore Carlo Bonomi. «Noi difendiamo il principio che il salario, in tutte le sue componenti, si stabilisca nei contratti, nazionali e aziendali, trattando con il sindacato», ha detto Orsini, invertendo nuovamente la rotta di Viale dell’Astronomia.
Bonomi, nell’ultimo scorcio del suo incarico, si era spinto a dire di non voler porre nessun «veto» sul salario minimo, aprendo all’idea di introdurlo per i lavoratori più fragili, in quel «mondo di contratti pirata sul quale bisogna intervenire per garantire condizioni adeguate». Certo, aveva precisato, questo non risolverebbe la questione del lavoro povero, né la piaga del dumping contrattuale, se non accompagnato da una legge sulla rappresentanza. In ogni caso, «dipende dalla volontà politica. È la politica che deve decidere come fare il salario minimo e prendersi la relativa responsabilità», aveva concluso.
Era l’estate del 2022, al governo c’era Mario Draghi e al ministero del Lavoro Andrea Orlando. Poi è arrivata Giorgia Meloni. E la destra al governo, nel frattempo, ha affossato la proposta delle opposizioni sul salario minimo, impegnandosi a fare una legge per un’estensione dei contratti collettivi più applicati, di cui però non si è saputo più nulla.
E sulla questione dei bassi salari italiani, che restano al di sotto della media europea, è calato il silenzio. Anche dal fronte dei sindacati. Il Partito democratico, insieme a Movimento Cinqie Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra continua, a raccogliere le firme per una proposta di legge di iniziativa popolare. Ma le sole novità stanno arrivando a livello comunale, dove diverse giunte hanno stabilito una paga minima oraria di nove euro almeno per i lavori affidati in appalto.
«Al sindacato diciamo che è tempo di un’azione comune per contrastare i troppi contratti siglati da soggetti di inadeguata rappresentanza. È tempo di unire le forze per indicare una via diversa ai troppi settori in cui convivono salari incongrui e irregolarità fiscali e contributive», ha detto Orsini dal palco dell’assemblea. «Noi e i sindacati», ha ripetuto, «abbiamo tanto da fare insieme, e noi siamo pronti ad avviare un confronto», dai salari alla sicurezza sul lavoro, ricordando pure che la crescita del 3,1 per cento delle retribuzioni in Italia nei primi sei mesi dell’anno è avvenuta «anche per effetto degli incrementi salariali erogati nei principali contratti firmati da Confindustria».
I segretari dei sindacati hanno subito risposto. È importante «sostenere la crescita delle retribuzioni attraverso la contrattazione collettiva», ha commentato il leader della Cisl Luigi Sbarra – da sempre contrario al salario minimo – aprendo a un «grande patto tra governo, imprese e sindacato». Il segretario della Cgil Maurizio Landini, che con Orsini aveva già fatto emergere non poche affinità durante il dibattito avuto nel corso della festa del Fatto Quotidiano, si è limitato a commentare positivamente la «disponibilità al confronto» senza fare riferimento ai salari.
Eppure, solo la scorsa settimana, i due segretari di Cgil e Cisl litigavano sulla questione del salario minimo a margine del G7 Lavoro di Cagliari. «Il salario minimo non serve. Si prendano a riferimento i contratti più applicati e diffusi nei settori e si faccia valere questo per tutti», aveva detto Sbarra. «Questa è una sua idea», aveva replicato a pochi metri da lui Landini. «Questa teoria per cui una legge sul salario minimo riduce la contrattazione non è vera».
«Curioso che i sindacati italiani parlino di salari in consessi internazionali. A casa propria, invece, silenzio», fa notare un esperto del tema. La nuova presa di posizione di Confindustria, forse, potrebbe riaccendere il dibattito. Anche solo per chiedere al governo che fine ha fatto quella legge delega che puntava a garantire una «retribuzione equa» e che doveva esser pronta entro l’inizio dell’estate.