Catastrofe giudiziariaIl danno morale ed erariale del processo sull’Ilva di Taranto

I giudici della Corte di assise di appello hanno annullato le pesanti condanne inflitte in primo grado agli ex amministratori dell’acciaieria, mandando in fumo oltre duecento udienze e centinaia di testimonianze. Ora è tutto da rifare, con il rischio che arrivi la prescrizione. Ma l’errore è stato di chi ha voluto giudicare e condannare a tutti i costi, trascurando l’articolo 11 del codice di procedura penale

(La Presse)

I giudici della Corte di assise di appello di Taranto, che hanno annullato le pesanti condanne inflitte in primo grado nel 2021 per il reato di disastro ambientale agli ex amministratori dell’Ilva, hanno spalancato la porta a una delle più grandi catastrofi giudiziarie del Paese. Mandando in fumo oltre duecento udienze, centinaia di testimonianze e decine di lunghe e complesse perizie.

Non appena pubblicata la clamorosa notizia, è cominciato il coro degli improperi e delle maledizioni verso i magistrati sbagliati: coloro che hanno applicato la legge annullando la sentenza di condanna. La solita vecchia litania che accompagna le pronunce che cancellano le uniche sentenze che alla pubblica opinione forcaiola sembrano giuste, ovvero le esemplari condanne.

Nel caso di specie, i principali imputati, gli ex proprietari Riva e il responsabile dei rapporti istituzionali Archina, avevano riportato condanne a oltre vent’anni per ciascuno in quanto riconosciuti come organizzatori di una vera e propria associazione finalizzata a provocare un doloso disastro ambientale.

Come si conviene a ogni verdetto che voglia soddisfare la legittima rabbia popolare, tra i condannati non mancava neanche il politico eccellente: in questo caso l’ex governatore pugliese Nichi Vendola gratificato con un verdetto di colpevolezza a tre anni e sei mesi di reclusione.

Tutto questo da venerdì sera non esiste più: spazzato via dalla sentenza di annullamento della Corte di assise di appello che ha disposto si rifaccia il processo di primo grado a Potenza.

A questo punto, dovendo rifarsi per intero udienza preliminare e dibattimento  sentire nuovamente centinaia di testi, disporre nuove perizie (in primo grado, come detto, ci vollero circa duecento udienze), il rischio tutt’altro che remoto è che arrivi la prescrizione per tutti i reati.

Il punto cruciale è presto detto: l’unico reato che può sopravvivere è l’ipotesi di disastro ambientale doloso. L’articolo 452 quater prevede una pena fino a quindici anni di reclusione e la prescrizione ci sarebbe dopo il 2030. Per tre gradi di giudizio, il tempo non è moltissimo.

Il desolante panorama che oggi si mostra agli occhi di tutti non è da ascrivere però alla decisione dei giudici di appello, come sostengono oggi le solite tricoteuse private improvvisamente della loro libbra di carne. La realtà è molto semplice: l’errore è stato di chi ha voluto giudicare e condannare a tutti i costi trascurando l’articolo 11 del codice di procedura penale che impone il trasferimento del processo in cui parte offesa siano magistrati o loro congiunti.

Diversi magistrati che si sono interessati al procedimento, tra cui alcuni giudici, risiedevano in zone colpite dal disastro e se ciò non bastasse due magistrati onorari di Taranto si erano costituiti parte civile.

Il quesito è semplice: può un magistrato o un giudice popolare che sappia di essere stato per anni avvelenato dai fumi di una fabbrica giudicare serenamente i suoi presunti avvelenatori? Il legislatore ritiene di no e ha fissato il principio nel codice di procedura penale.

Già su questo giornale si sono illustrate le anomalie dell’indagine e del processo di Taranto. Uno dei difensori, Giandomenico Caiazza, ha definito «inevitabile e scontato l’esito». Alcuni degli avvocati avevano già eccepito l’incompetenza dei giudici di Taranto producendo anche un parere pro veritate di alcuni tra i più autorevoli processualisti italiani.

I primi giudici hanno tirato diritto con l’esito catastrofico sotto gli occhi di tutti, che prospetta oltre il danno morale anche quello erariale in termini di enorme portata.

Il punto su cui menare scandalo, dunque, è come sia stato possibile celebrare duecento udienze e passa, conferire perizie destinate al macero trascurando questo dato di solare evidenza. Al disastro ambientale va aggiunto quello erariale per cui qualcuno dovrebbe rendere conto.

Non è fuor di luogo ipotizzare che alla base dei gravissimi errori commessi dalla corte di Assise di Taranto e prima ancora dal Gip e dalla stessa procura vi sia una malintesa concezione dei propri compiti e del proprio ruolo sociale.

Buona parte della magistratura tarantina ha ritenuto essere suo compito precipuo «fare giustizia» dei presunti avvelenatori e che ciò dovesse avvenire per mano sua. Ha dato al processo un valore simbolico e catartico invece di assicurare l’imparzialità del giudizio.

È da augurarsi che si voglia rispettare la verità e il coraggio dei giudici che si sono preoccupati di ciò invece di abbandonarli al ludibrio dei vari Bonelli e demagoghi che blaterano senza aver capito nulla.

Ed è da augurarsi che l’Associazione nazionale magistrati voglia difendere i colleghi per una elementare considerazione: l’indipendenza dei magistrati, prima ancora che sul divieto di separazione delle carriere di pm e giudici, è strettamente connessa al principio di imparzialità gravemente messo a repentaglio proprio dalle singolari modalità con cui sono state condotte le indagini e il giudizio di primo grado a Taranto dove molti hanno criticato le inquietanti commistioni tra inquirenti, associazioni ambientaliste e politica.

La decisione dei giudici di appello solleva un enorme dibattito che non si limita a Taranto (non dissimile ad esempio è la situazione a Genova per il processo del ponte Morandi) e riguarda un tema delicato in epoca di social, fake news e ideologie inconciliabili: come tutelare il diritto a un giudice imparziale per ogni cittadino sotto processo.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter