Conflitto ambientaleIl telescopio siciliano che spiega il delicato equilibrio tra progresso e conservazione

In Sicilia, in cima al monte Mufara, un progetto dell’Agenzia spaziale europea sta mettendo in guardia comunità locali e ambientalisti, che contestano un’iniziativa con «volumi edilizi che nulla hanno a che fare con la ricerca scientifica»

Mario Vaccarella, CAI Sicilia

Il 24 settembre, il Tar Sicilia di Palermo ha rigettato il ricorso presentato dalle associazioni ambientaliste Legambiente Sicilia, Club alpino italiano, Wwf Sicilia Nord Occidentale e Lega italiana protezione uccelli (Lipu) contro la realizzazione di un osservatorio astronomico sulla cima del monte Mufara (1.865 m), nel parco delle Madonie. Il ricorso delle associazioni è giunto dopo diversi esposti presentati negli ultimi anni per i possibili impatti ambientali dell’opera.

L’osservatorio dovrebbe ospitare il telescopio italiano Flyeye del Programma di sicurezza spaziale dell’European space agency (Esa), che con una tecnologia innovativa a “occhio di mosca” permetterà di monitorare oggetti prossimi alla Terra (near-Earth objects, Neo) come detriti spaziali e asteroidi che potrebbero rappresentare un rischio per il nostro Pianeta.

Il telescopio è sviluppato dall’azienda Ohb Italia S.p.A., uno dei maggiori sistemisti satellitari italiani. Sulla decisione finale del Tar hanno espresso soddisfazione il presidente della Regione Sicilia, Renato Schifani, e il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. In bilico c’era infatti l’investimento di dodici milioni di euro per la sede siciliana, con ricadute economiche per l’indotto di ulteriori 1,5 milioni di euro in caso di un possibile ripensamento dell’Esa, che in passato aveva considerato un sito alternativo nelle Canarie.

Una nota a favore arriva anche dal presidente dell’Agenzia spaziale italiana (Asi), Teodoro Valente: «La decisione è il riconoscimento del lavoro di attenzione che in questi anni le istituzioni Esa e Asi hanno messo a punto per giungere alla progettazione di una infrastruttura che rispetti l’ambiente circostante». In attesa dell’esito del ricorso, era intanto stato lanciato un “Appello per salvare monte Mufara nel parco delle Madonie minacciato dalla costruzione di un osservatorio astronomico”. Tra i primi firmatari, vari docenti dell’università di Palermo e dell’università di Catania ed ex direttori e componenti di comitati tecnico-scientifici di parchi siciliani, tra cui Sergio Marino, ex commissario del parco delle Madonie ed ex direttore generale di Arpa Sicilia.

In risposta, per non far bloccare i lavori è stato lanciato l’appello “Salviamo la ricerca scientifica e monte Mufara”, che vede anche in questo caso tra i sostenitori alcuni esponenti della comunità scientifica, come Michel Mayor, astronomo premio Nobel per la Fisica nel 2019, docenti di atenei italiani e stranieri, direttori di osservatori astronomici e l’ex direttore dell’Ente Parco delle Madonie Francesco Licata Di Baucina. 

Il monte Mufara (Carlo Columba/Flickr)

Tra i sostenitori dell’appello ci sono anche Roberto Battiston, ex presidente dell’Asi che nel 2018 ha firmato l’accordo con l’Esa per ospitare il telescopio Flyeye sul monte Mufara, e Roberto Ragazzoni, tra gli inventori del Flyeye e presidente dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf). Una larga parte dei firmatari è legata a vario titolo alla Fondazione GAL Hassin-Centro internazionale per le scienze astronomiche di Isnello nelle Madonie.

Siamo ormai abituati a vedere gli accademici battersi in diverse occasioni per promuovere il progresso scientifico, così come per la tutela dell’ambiente. Succede però in questo caso che i due obiettivi – progresso e conservazione – possano almeno all’apparenza contrapporsi, estendendo il conflitto ambientale all’interno della comunità scientifica stessa. 

Per la scelta di un sito idoneo a questo tipo di telescopi vengono valutati parametri come l’altitudine, l’inquinamento luminoso, il particolato atmosferico, le condizioni di protezione ambientale e lo studio di ostacoli naturali, la storia sismica, l’umidità, la latitudine, la micrometeorologia e il numero di notti osservative all’anno, come spiegano dalla Fondazione GAL Hassin a Linkiesta.

Le prime valutazioni sulla collocazione del Flyeye su monte Mufara risalgono al 2013, su idea dei co-fondatori della Fondazione GAL Hassin: Mario Di Martino, astrofisico dell’Inaf, e Giuseppe Mogavero, presidente della Fondazione, medico, ex sindaco di Isnello e componente del comitato esecutivo dell’Ente Parco delle Madonie, tra gli autori dell’appello per salvare la ricerca scientifica e monte Mufara. «Una valutazione dei possibili siti per ospitare un grande telescopio in Sicilia era già stata fatta all’inizio degli anni Settanta, da cui il monte Mufara risultò essere il sito migliore», aggiungono dalla Fondazione.

Le zone prese in considerazione per questo tipo di valutazioni rientrarono poi all’interno del parco della Madonie istituito negli anni Ottanta. La contestazione sulla scelta del sito per il Flyeye riguarda appunto il fatto che la cima di monte Mufara si trova «in piena zona A di tutela integrale del parco naturale delle Madonie, in area dichiarata di notevole interesse pubblico e sottoposta a vincolo paesaggistico, emergenza geologica tutelata anche dal Geopark Unesco e ubicata a ridosso delle Serre dolomitiche della Quacella e della faggeta, tra le più meridionali d’Europa», si legge nell’appello delle associazioni ambientaliste.

L’area in cui si trova il sito è infatti vincolata a inedificabilità assoluta a tutela dei boschi, riportano le associazioni, segnalando in un proprio esposto che «la Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Palermo ha dichiarato la non autorizzabilità del progetto per i plurimi vincoli di tutela gravanti sull’area ancor prima dell’istituzione del Parco delle Madonie». Nel 2022, l’Ente Parco delle Madonie ha comunque espresso parere favorevole sulla Valutazione d’incidenza ambientale dell’opera, necessaria dato che l’area di costruzione si trova in un sito della Rete Natura 2000, a firma di Calogero Beringheli, allora direttore dell’Ente nonché dirigente della Regione Siciliana.

Mario Vaccarella, CAI Sicilia

La costruzione dovrebbe inoltre essere permessa grazie all’emanazione da parte del governo del decreto legge 104/2023 (poi convertito in legge), che considera le opere, gli impianti e le infrastrutture strettamente necessari alla realizzazione di osservatori astronomici sul territorio nazionale, nell’ambito di programmi coordinati e finanziati dall’Asi o dall’Esa, di rilevante interesse nazionale per lo sviluppo delle attività di ricerca scientifica e tecnologica. In tal senso, queste opere possono essere realizzate anche in deroga a quanto previsto dal codice dei beni culturali e del paesaggio e da ulteriori limitazioni urbanistiche.

«C’è chi ha considerato il parco delle Madonie come un parco giochi, fregandosene del possibile impatto ambientale. C’è stata una forzatura normativa e procedurale dando delle autorizzazioni del tutto illegittime, venendo meno al rispetto delle regole proprio da parte di quelle istituzioni che invece dovrebbero farle rispettare», Tommaso Castronovo, presidente di Legambiente Sicilia.

«Io sono ambientalista, questo non vuol dire che sia nemico della scienza e del progresso», dichiara a Linkiesta Valerio Agnesi, professore emerito di Geomorfologia dell’Università di Palermo e tra i primi firmatari dell’appello per salvare monte Mufara. «Sono convinto che un osservatorio del genere alle nostre latitudini possa essere estremamente utile, in continuità con gli importanti contributi dell’astronomia siciliana alla storia del settore», continua. 

Ciò che non convince Agnesi è la mancanza di confronto con esperti e comunità scientifica: «Noi ci troviamo di fronte a un progetto che non è passato al vaglio di un comitato tecnico-scientifico, che dovrebbe dare un parere sulla congruenza del progetto con le finalità del Parco. Non è stato coinvolto neanche il Consiglio regionale per la protezione del patrimonio naturale, che sarebbe tenuto a dare pareri quando richiesti». Secondo il professore, il parere di un comitato tecnico-scientifico avrebbe potuto valutare anche i possibili impatti sulla Formazione Mufara, complesso litologico che presenta fossili di interesse scientifico, il cui nome viene dalla sezione tipo che si trova proprio sul monte Mufara.

Si definisce ambientalista anche Giuseppe Mogavero della Fondazione GAL Hassin, che sottolinea come il Flyeye possa invece giovare alla tutela del sito: «Tutti i telescopi del mondo si trovano in aree di riserva, dato che richiedono, ma anche impongono, una protezione ambientale estrema per salvaguardare le caratteristiche utili all’osservazione», racconta a Linkiesta. 

La legittimità delle procedure e delle normative seguite viene inoltre rivendicata nell’appello lanciato dalla Fondazione. Il decreto dell’Assessorato regionale per il territorio e l’ambiente 29/1996, ricorda Mogavero, consente in tutto il territorio del Parco lo svolgimento di attività di ricerca scientifica e l’ampliamento e la realizzazione di strutture necessarie alla ricerca, così come ampliamenti agli impianti di telecomunicazione. Va comunque fatto notare che lo stesso decreto, all’articolo venti, specifica che le attività di ricerca scientifica possono essere svolte su parere del comitato tecnico-scientifico.

Mentre le associazioni lamentano un mancato coinvolgimento pubblico nella scelta del sito, secondo Mogavero da circa dodici anni il tema è stato sempre affrontato nell’evento annuale “GAL Hassin”, che ha anche visto la partecipazione dell’Esa nello spiegare il perché della scelta di monte Mufara e le successive rimodulazioni dei volumi.

Per Castronovo di Legambiente Sicilia, invece, a seguito di una manifestazione sul Mufara nel 2022 il progetto è stato sì presentato dalle istituzioni, ma come già definito e concordato senza possibilità di “appello” da parte dei cittadini. In un confronto con l’Esa sulle aspettative riguardo la forma dell’osservatorio da realizzare, ci racconta Giuseppe Mogavero, che aveva provocatoriamente affermato: «Vorrei una Torre Eiffel, un monumento alla cultura e alla conoscenza. Le cose fatte bene non andrebbero nascoste». 

Nel merito delle costruzioni previste, le associazioni ambientaliste contestano però proprio le dimensioni e il tipo di costruzioni: una superficie di ottocentoquaranta metri quadri, di cui trecentosessanta per il piazzale, un volume edilizio di 3.544 metri cubi e un’altezza fuori terra di quasi quattordici metri. «Noi non contestiamo l’osservatorio in sé, ma i lavori accessori previsti», continua Castronovo. Il progetto, spiega, «prevede volumi edilizi che nulla hanno a che fare con la ricerca scientifica, come il piazzale per il parcheggio, una sala riunioni e la cucina, al cui scopo potrebbero essere usati altri edifici disponibili». Il Comune di Petralia Sottana, nel cui territorio si trova monte Mufara, aveva infatti proposto nel 2021 di allocare le strutture di servizio, manutenzione e foresteria in spazi pubblici già esistenti, mettendo a disposizione il rifugio Il Grifone nel vicino Piano Battaglia.

Per i sostenitori dell’appello a favore dell’osservatorio, il progetto – già ridotto rispetto all’ipotesi iniziale – è comunque a minimo impatto considerando anche che sarà utilizzato da remoto, sottolineando inoltre che sarà meno impattante rispetto alla stazione sciistica già presente sul monte. Un’alternativa a monte Mufara è stata proposta dalle associazioni ambientaliste, che vedono nel vicino monte San Salvatore una scelta meno impattante per l’ambiente. 

«Monte San Salvatore potrebbe essere una proposta di buon senso, dato che presenta già delle infrastrutture necessarie all’osservatorio, richiedendo quindi meno lavori e riducendo l’impatto della realizzazione», afferma Castronovo. Sull’unicità del Mufara insiste invece Mogavero, secondo cui in assenza di questo sito il Flyeye non si sarebbe potuto costruire in Italia, riportando inoltre che San Salvatore fu scartato negli anni Settanta, perché non presenterebbe le stesse condizioni di visibilità del monte Mufara.

Proprio per le caratteristiche peculiari del sito, sul Mufara è stato infatti collocato nel 2020 il Wide-field Mufara Telescope (Wmt) della Fondazione GAL Hassin, anch’esso con l’obiettivo di monitorare e scoprire asteroidi e comete, facendo da «apripista per la collocazione su monte Mufara del telescopio Flyeye dell’Esa», riportano dalla Fondazione. Anche sulla realizzazione del Wmt era stato respinto un ricorso presentato da Legambiente Sicilia. In quel caso, il Consiglio di giustizia amministrativa sottolineava che la normativa regionale consente qualunque tipo di ricerca scientifica in tutto il territorio del Parco, ricordando però che «ricerca e tutela afferiscono a valori costituzionali da contemperare in una visione armonica ed equilibrata». 

Di fronte a questo scontro ambientale, legato evidentemente anche a diverse visioni sul ruolo della scienza nel contribuire alla gestione di un territorio, ci si domanda se da parte degli enti scientifici europei (Esa) e nazionali (Asi e Inaf) coinvolti siano state fatte a monte delle considerazioni e delle valutazioni sui possibili impatti ambientali e sociali a livello locale, anche rispetto al principio del Do No Significant Harm caro all’Unione europea, che prevede ad esempio che gli interventi previsti dal Pnrr (e da altri programmi di finanziamento europei) non arrechino un danno significativo all’ambiente. Dagli enti, però, non sono arrivate risposte. 

Intanto, la protesta per bloccare l’osservatorio continua. A seguito della decisione del Tar, le associazioni ambientaliste hanno annunciato che procederanno a un ricorso alla Corte di giustizia dell’Unione europea per violazione della Convenzione di Aarhus e di altre norme comunitarie su diritto ambientale e sulla partecipazione ai procedimenti decisori, «aprendo una grande questione di rispetto dei principi costituzionali e del diritto nazionale su tutela dell’ambiente e del paesaggio e partecipazione dei cittadini».

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