God save(d) the QueenL’immortalità di Elisabetta II, e la nostra paura di scomparire

David Baddiel, in “Il desiderio di Dio” (Altrecose), riflette in chiave ironica e personale sul desiderio umano di credere in una divinità, e interpreta l’intensità di questa fede come prova della sua non esistenza

AP/LaPresse

La frase «Dio salvi la regina» ovviamente presuppone che Dio e la regina siano due entità diverse. Ma a me sembrano ormai inseparabili. Con questo intendo dire che alla sua morte la regina è stata riverita come una divinità. Anche da viva, è chiaro. Colpisce fino a che punto la deificazione della monarchia, con la corona, l’oro, il trono, gli inginocchiamenti e tutto il resto, equivalga all’adorazione di Dio. Ma quando è morta lei, mi sono accorto di un elemento ulteriore.

Il tema dominante dei diversi tributi – al di là di tutte le chiacchiere sul senso del dovere e dello Stato, e l’interminabile litania sulla donna adorabile e con un grandissimo senso dell’umorismo – è stato la longevità. In quei giorni ho letto e riletto discorsi stupefatti per il lungo periodo, apparentemente infinito, in cui la regina aveva occupato il trono. Sembrava dominare la sensazione che la durata di quel regno fosse di per sé un segno di qualcosa di sovrumano.

Sull’Atlantic lo scrittore Tom McTague ha iniziato un lungo elogio funebre con le parole: «Anche solo per la longevità, ha il suo posto nel pantheon dei grandi». Era diventato virale un tweet che segnalava che il regno di Elisabetta II è durato più di un terzo dell’intera esistenza degli Stati Uniti. Helen Lewis ha scritto in un altro articolo: «Aveva sei settimane più di Marilyn Monroe, tre anni più di Anne Frank, nove più di Elvis Presley, tutte figure di un passato irraggiungibile».

È interessante, visto che io non direi che si tratta di figure di un passato irraggiungibile. Le figure del passato irraggiungibile sono i miliardi di morti di cui neppure conosciamo il nome. Marilyn Monroe, Anne Frank ed Elvis Presley sono raggiungibili con l’immaginazione attraverso libri e film: persone che godono di una tale fama da essere immortali, nella coscienza dei vivi. Quindi anche loro sono degli dèi, tipo. Ma dato che sono tutti morti da giovani, ci è voluto un po’ perché si stabilisse la loro immortalità. 

La presenza culturale dei morti molto famosi si costruisce nel tempo, via via che il segno da loro lasciato si fa più profondo, via via che il loro corpo si decompone, addirittura. Nel caso della regina però, sembra che l’immortalità fosse, come in effetti era, pronta all’uso; come se in punto di morte la sua vita incredibilmente lunga sotto i riflettori fosse semplicemente impacchettata nel suo diventare eterna, un po’ come quando ai detenuti che hanno già scontato un certo periodo in carcere viene permesso di considerarlo nel conto della loro pena.

Una delle cose che più hanno colpito i britannici è stato il momento epocale in cui hanno sentito, subito dopo la morte della regina, le parole – parole-preghiera, di per sé rivolte all’immortalità – «Dio salvi il re» e/o «Lunga vita al re». Non ricordo se lo sapessi già – pensavo che il nuovo monarca non fosse ufficialmente tale prima dell’incoronazione – ma in realtà il principe Carlo è diventato Sua Maestà re Carlo Terzo nell’istante stesso della morte di Elisabetta II.

Questo ci suggerisce qualcosa in più a proposito della monarchia, che riguarda il desiderio di Dio: e questo qualcosa è la resurrezione. Il mistico, immediato movimento del trono da un monarca all’altro riguarda in parte il potere, ma anche il creare una sensazione, una confortante sensazione del trionfo dell’istituzione sulla morte: e che l’anima, l’essenza, il personaggio al centro di questa storia non muore mai. Da questo punto di vista assomiglia a un’altra versione di Dio, che è Doctor Who.

In fondo, naturalmente – nonostante tutti dal televisore mi dicessero con stupefacente sicurezza com’era –, la regina era una pagina bianca su cui tutti potevano proiettare ciò che avevano bisogno lei fosse. Soprattutto la volevano nel modo in cui la descriveva il sito della Bbc a margine di uno dei tanti film sulla sua vita e sul suo regno: una costante rassicurante. 

Lungo le rive del Tamigi, trasmessa in diretta per televisione, c’era una coda di sette od otto chilometri, fatta di persone in paziente attesa di vedere la bara della regina. Quando la raggiungevano, molti chinavano il capo o si inginocchiavano di fronte alla cassa di legno dorato. Eppure ho notato che spesso la fila veniva descritta come composta di persone che erano lì «per vedere la regina», piuttosto che il suo corpo o la sua bara. Ossia come se fosse ancora viva. È possibile che quella coda fosse così lunga perché quelli che la formavano, come molti altri, volevano avere la sensazione di aver incontrato la regina, e il fatto che fosse morta non era necessariamente un impedimento. 

In un certo senso il fatto di essere morta rendeva più semplice il suo regale compito: come ho detto, quello di essere un oggetto su cui proiettare i nostri desideri, uno dei quali potrebbe essere sentire di essere stati al suo cospetto. Alla domanda dei cronisti televisivi su cosa significasse la regina per loro, molti dei presenti al funerale rispondevano: lei c’era sempre. In altre parole, lei indicava la prospettiva dell’eternità.

Ecco perché non ho modificato la riga del libro in cui parlo di chi salva la regina: perché in realtà non importa se sul trono siede una regina o un re, un imperatore o un Caro Leader. Sono tutte quante differenti versioni di Dio, differenti fantasmi evocati per combattere la nostra comune paura di non esistere più, un’altra storia a cui abbiamo creduto e che ci promette che da qualche parte esiste l’immortalità. 

Uno degli aspetti del desiderio di Dio è che non viene mai soddisfatto davvero, forse perché in fondo l’inconscio collettivo sa che il Dio X non esiste, e quindi passerà sempre, con sicura e indubbia speranza, al Dio Y e al Dio Z. In questo libro c’è un altro passaggio che avete letto, sempre ammesso che non l’abbiate saltato, quello in cui (forse in preda al panico sul senso di scriverlo) ho impegnato un po’ di tempo a difendere il concetto di una polemica a favore dell’ateismo, perché magari c’è chi pensa che ormai nessuno creda più in Dio. 

Ma ciò che la morte della regina mi ha chiarito è che qui non sto parlando solo di Dio in senso religioso. Sto parlando del desiderio di Dio, dell’espressione collettiva sempre attuale che deriva da un bisogno di qualcosa che sia più grande di noi. L’umanità continua a trovare questi qualcosa, continua a investirci, continua a mantenere viva la fiamma di miriadi di culti. Invecchiando, mi accorgo sempre più di questi dèi che mi circondano, infiniti balsami per lo stesso desiderio, e questo rafforza la mia sicura, indubbia sensazione di oblio che l’invecchiare preannuncia.

Cioè, più mi è chiaro quanto è fervido e disperato il desiderio di Dio – tanto da spingere, all’occorrenza, giusto per essere rassicurati della costante presenza di quel desiderio, centinaia di migliaia di persone ad aspettare in fila per giorni e notti pur di inchinarsi di fronte a un corpo morto – più so, nel mi all’occorrenza, giusto per essere rassicurati della costante presenza di quel desiderio, centinaia di migliaia di persone ad aspettare in fila per giorni e notti pur di inchinarsi di fronte a un corpo morto – più so, nel mio cuore di ateo riluttante, che di là non esiste niente.

Tratto da “Il desiderio di Dio” (Altrecose) di David Baddiel, pp. 128, 17,00€

Le prossime presentazioni del libro:
David Baddiel in dialogo con Luca Sofri
Sabato 7 dicembre ore 16.30
A Natale libri per te – Peccioli

David Baddiel in dialogo con Marino Sinibaldi
Domenica 8 dicembre ore 17
Più libri più liberi – Roma

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