Negli ultimi giorni si è riacceso il dibattito sulle proteste e sull’ordine pubblico a causa degli scontri tra la Polizia e i manifestanti a Bologna durante la scorsa settimana. Questi avvenimenti hanno anche riacceso il dibattito sul disegno di legge sulla sicurezza che, se approvato in via definitiva, renderà molto più aspre le pene per manifestanti che assumono comportamenti ritenuti pericolosi.
Affrontare il tema solamente a ridosso di disordini che suscitano scalpore rende il dibattito molto confuso e poco obiettivo: è importante discutere del testo con uno sguardo ai dati e alle conseguenze di lungo periodo. In questo articolo proviamo a farlo esaminando alcuni dei punti del provvedimento.
Il testo, approvato alla Camera a settembre e ora all’esame in Senato, crea una serie di nuovi reati per colpire specificatamente e con una pena maggiore comportamenti ritenuti particolarmente pericolosi. Ad esempio, il blocco stradale da illecito amministrativo diventerebbe un titolo di reato autonomo, con possibile condanna al carcere. Vi sarebbe una nuova fattispecie penale di occupazione abusiva di immobili, prima punita da reati più generali e con pene minori. Vengono inoltre inasprite le pene per chi protesta nelle carceri, con l’introduzione di un reato di rivolta carceraria, integrato anche in caso di resistenza solo passiva agli ordini impartiti dalla polizia penitenziaria.
Altri articoli della riforma intervengono direttamente sulle modalità di protesta, ma potrebbero comunque esacerbare situazioni di conflitto o di tensione. Per esempio, l’articolo 20 autorizzerebbe gli agenti di pubblica sicurezza a portare senza licenza alcune tipologie di armi quando non sono in servizio.
A fronte di queste e altre previsioni del disegno di legge, la domanda sorge spontanea: perché? Stiamo assistendo a un aumento delle proteste tale da giustificare questo intervento?
Abbiamo usato i dati raccolti da Acled per investigare lo stato delle proteste in Italia. Il dibattito sulle proteste è raramente basato sui dati, ma esiste un dataset che si pone l’obiettivo di quantificare questo fenomeno: si tratta di Acled (Armed Conflict Location and Event Data, dati sulla localizzazione e sugli eventi dei conflitti armati, che però traccia anche proteste e rivolte non armate). Acled raccoglie dati su vari episodi di conflitto, comprese le proteste. Il loro metodo si basa sulla raccolta di tutti gli articoli che menzionano disordini, privilegiando giornali locali che tendono a riportare anche eventi più piccole e ad avere una linea editoriale meno allineata con i partiti nazionali.
I dati sulle proteste in Italia hanno un’immagine familiare: le proteste avvengono soprattutto in primavera e in autunno, in particolare a febbraio e a ottobre. La città in cui si protesta di più è di gran lunga Roma, seguita a una certa distanza da Milano, e a seguire gli altri comuni più popolati. Bisogna considerare però che non viene raccolto il numero di persone che vi hanno partecipato, che può variare da diverse fonti giornalistiche: diamo, perciò, lo stesso peso alle manifestazioni indipendentemente dall’affluenza. E vediamo che il numero di proteste dal 2020 a marzo 2024, quando è iniziato l’esame del Ddl alla Camera a marzo 2024, non è omogeneo.
Quello del governo Meloni è il periodo con il più basso numero di proteste dal 2020. È difficile determinare le cause di questo calo, e sicuramente alcune sono indipendenti rispetto al governo in carica: per esempio, tante delle proteste nel 2021 erano legate alla pandemia. Tuttavia, il calo del numero di proteste si nota comunque, anche al netto delle proteste contro le restrizioni per Covid o i vaccini. È evidente, dunque, che non l’Italia non stia vivendo un’emergenza proteste. Anzi, la diminuzione del numero di manifestazioni di protesta potrebbe essere considerata fonte di preoccupazione rispetto all’interesse dei cittadini alla partecipazione politica.
I sostenitori del Ddl sicurezza potrebbero osservare che il governo non intaccherebbe la possibilità di protestare in modo lecito, ma inasprirebbe solamente le conseguenze per comportamenti già considerati illeciti. Per questo motivo, osserviamo le tendenze delle proteste illecite, ovvero quelle classificate come riots (rivolte) da Acled e gli eventi durante i quali i partecipanti bloccano la strada, fattispecie a cui è dedicata una previsione esplicita del provvedimento.
È in netto calo il numero delle proteste in cui i protestanti esercitano violenza e osserviamo che il fenomeno dei protestanti che bloccano la strada è marginale: Acled ha registrato solo tre eventi di questo tipo nei primi tre mesi del 2024. Rispetto alle proteste, dunque, il governo interverrebbe su un fenomeno del tutto irrilevante, introducendo però pene sproporzionate che potrebbero esercitare un effetto deterrente anche per coloro che hanno intenzione di manifestare pacificamente.
Ancora più grave è l’inasprimento delle pene per le rivolte in carcere. Infatti, quella delle carceri è una delle questioni più delicate del Paese in questo momento. Il rapporto dell’associazione Antigone 2024 evidenzia come i tassi di affollamento superano il centocinquanta per cento in trentanove istituti. Inoltre, l’alta eterogeneità dell’affollamento fa sì che ci siano carceri con tassi al di sopra del duecento per cento come Brescia Canton Monbello e Lodi.
Alcuni studi (ad esempio in Svizzera) hanno evidenziato come il sovraffollamento sia un determinante di disordini all’interno delle carceri, sia tra detenuti che nei confronti della polizia giudiziaria. Usando dati Eurostat e Acled, emerge che gli Stati europei caratterizzati da un maggior tasso di affollamento, come Francia e Cipro, sono anche quelli che testimoniano maggior numero di proteste per detenuto. Anche se questo evidenzia una correlazione, e non un rapporto di causa-effetto, il legame può essere indicativo dell’ordine di priorità degli interventi per migliorare lo status quo all’interno delle carceri.
È evidente come il disegno di legge al voto in Senato sia anzitutto inutile, perché il numero di disordini legati a manifestazioni di protesta è molto ridotto e perché la soluzione della questione carceraria va cercata altrove, in primis nella riduzione del sovraffollamento. Inoltre, si tratta di una riforma controproducente in almeno due ambiti: per la partecipazione democratica alla politica – tra tutte è particolarmente preoccupate la punizione della resistenza passiva, chiamata dai detrattori “anti-Gandhi” – e per le conseguenze sul sistema giudiziario italiano. Infatti, con l’aumento dei reati cresce anche il carico di lavoro dei tribunali, che si intendeva ridurre con l’abolizione dell’abuso d’ufficio, e di conseguenza potrebbe aumentare il sovraffollamento delle carceri.