ChiaroscuroI poveri, violenti e turbolenti anni romani di Caravaggio

Vania Colasanti, in “Inseguendo Caravaggio“ (Baldini + Castoldi), ripercorre la vita e le opere dell'artista lombardo che arrivò nella capitale nel 1599. Nonostante i successi artistici, il suo temperamento e le condizioni difficili lo portarono a vivere una vita caotica e instabile, riflettendo l’inquietudine del tempo nelle sue opere drammatiche e realistiche

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Caravaggio è arrivato a Roma da Milano. Alla fine del Cinquecento, «poco provisto di denari» e c’è chi insinua già con un omicidio alle spalle. È l’undici settembre. Undici settembre 1599, ventotto anni ancora da compiere. La città è scossa dall’esecuzione capitale di Beatrice Cenci che diventa un monito anche per lui, forse confuso tra la folla a piazza di Ponte. Castel Sant’Angelo sullo sfondo, il cappello di feltro calato sugli occhi. Sei mesi dopo. Diciassette febbraio 1600. Un’altra piazza romana, Campo de’ Fiori con la morte sul rogo di Giordano Bruno. Questa la Roma che muove l’animo di Caravaggio, che lo mette in guardia, che arma le scene cruente sotto i suoi pennelli. 

Gli inizi non sono stati facili per lui. Per sentirsi un po’ a casa, avrebbe frequentato la comunità lombarda che popola la zona dove poi sorgerà la basilica dei Santi Ambrogio e Carlo al Corso e che idealmente lo riporta agli anni milanesi di apprendistato nella bottega di Simone Peterzano, quand’era appena dodicenne. Una terra che gli ha lasciato nel cuore la natura e il realismo come ricca eredità. Il padre Fermo Merisi – maestro di casa e architetto – portato via dalla peste quando lui aveva solo sei anni e la madre Lucia Aratori, scomparsa quando ne aveva diciannove, preoccupata, finché fu in vita, d’investire nella formazione pittorica del figlio, di assecondare la sua grande passione.

È lo zio prete Ludovico, fratello del padre, a presentargli a Roma monsignor Pandolfo Pucci per il quale, in cambio di vitto e alloggio, il pittore sforna quadri devozionali. Al suo seguito, il giovane Caravaggio gravita a Palazzo Colonna in piazza dei Santi Apostoli e vivrebbe a piazza Scossacavalli, proprio accanto a San Pietro, con la cupola appena ultimata ma senza l’abbraccio del colonnato ancora da costruire. Se il diciannove novembre 1593 lui è a Roma, non si perde certo lo straordinario posizionamento della grande sfera in bronzo dorato, sormontata dalla croce a oltre centrotrenta metri d’altezza e che tiene tutti con il fiato sospeso. Piazza Scossacavalli viene spazzata via nel 1936 con l’apertura di via della Conciliazione, distrutta insieme a tante case di Borgo.

Ma alla stanza nel rione Borgo presso l’avaro «Monsignor Insalata», come lo chiamava lui, e che gli propinava sempre e solo verdure come «antipasto, pasto, postpasto e companatico», avrebbe preferito quella più succulenta di Tarquinio: un oste milanese, proprietario di due locande nella zona degli Ortacci, il ghetto animato da prostitute, con tanto di coprifuoco, che si snodava intorno al mausoleo di piazza Augusto Imperatore.

Caravaggio, nei suoi primi anni romani, passa da uno studio all’altro. Chi lo vuole nella bottega del pittore Antiveduto Gramatica sempre a Borgo, chi in quella di Lorenzo Carli in via della Scrofa, chi ancora in quella del Cavalier D’Arpino, vicino a piazza della Torretta, che per alcuni mesi gli avrebbe messo a disposizione un alloggio. Sperimenterebbe anche i letti delle corsie dell’«Ospitale della Consolatione» alla Rupe Tarpea – oggi popolata dai poliziotti della municipale – dove sarebbe stato ricoverato per la ferita a una gamba provocata dal calcio di un cavallo. Degenza ripagata, e anche bene, con le opere destinate al priore dell’ospedale.

Poi, la svolta. L’incontro con l’illuminato mecenate cardinale Francesco Maria del Monte, ambasciatore del Granducato di Toscana che risiede a Palazzo Firenze – diventata la sede della società Dante Alighieri – e che gli spalanca le porte dei grandi committenti romani e anche quelle di Palazzo Madama: l’attuale Senato in cui Caravaggio, sul finire del Cinquecento e gli inizi del Seicento, dorme e lavora. Campo Marzio centro nevralgico dell’arte, dove oggi si muove la politica. Come il palazzo del suo grande collezionista Vincenzo Giustiniani, diventato la sede della Presidenza del Senato della Repubblica. E nel 1599 arriva la prima commissione pubblica: la cappella Contarelli nella chiesa di San Luigi dei Francesi. «Che rumore è questo?», minimizza l’artista Federico Zuccari vedendo le opere, nel tentativo di smorzarne l’immediato clamore.

Se prima era un pittore come tanti, squattrinato e disperato, «estremamente bisognoso et ignudo», capace per guadagnare di dipingere anche tre teste al giorno, ora è diventato il pittore più ricercato di Roma e non solo per talento. Entra ed esce dal carcere di Tor di Nona sul lungotevere. Risse, sassate, forse accese da quel tossico colore che contiene piombo e che avvelena la sua mente, provocandogli probabilmente il saturnismo che lo rende irascibile e annerendogli persino i denti.                   

Tratto da “Inseguendo Caravaggio” (Baldini + Castoldi) di Vania Colasanti, pp. 10, 19,00€

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