Nel maggio del 1855 il capitano Richard Collinson rientrò in Inghilterra con l’Enterprise dopo un’assenza durata ben cinque anni e quattro mesi. Un lustro di inverni trascorsi fra i ghiacci, tagliati fuori da ogni contatto col mondo civilizzato per tre anni, lui e i suoi uomini avevano circumnavigato il globo per poi seguire la rotta del Capo di Buona Speranza allo scopo di tornare in patria. Collinson aveva esplorato tutte le terre misteriose a nord della costa settentrionale del Canada: Banks, Baring, Wollaston e Victoria. Ma solo per scoprire ogni volta di essere stato preceduto da qualcun altro, che quasi sempre rispondeva al nome dell’impetuoso Robert McClure. C’era da impazzire: se fosse partito un anno prima sarebbe stato ricordato come uno degli esploratori più grandi di tutti i tempi, così invece era solo un poveraccio sfortunato che aveva seguito le orme di capitani più abili e coraggiosi di lui.
In effetti, Collinson era oltremodo cauto e prudente, pieno di dubbi, tremebondo nell’affrontare i rischi e spesso ubriaco dalla mattina alla sera. Certo, durante il lungo viaggio era stato condizionato dal fatto piuttosto grave di non avere un interprete inuit a bordo della nave, perché Miertsching – che avrebbe dovuto salire sull’Enterprise a Honolulu – era arrivato in ritardo, quando Collinson era già partito, e così si era unito a McClure.
Collinson aveva comunque commesso una lunga serie di errori: dopo Point Barrow, in Alaska, era tornato indietro in cerca di una via per il fantomatico «mar polare», che non aveva trovato; aveva così sprecato tempo prezioso e, quando era finalmente arrivato a Point Hope, aveva trovato un messaggio di Kellett in un cairn, con la stupefacente e ferale notizia che McClure, il suo secondo, gli era passato davanti. Dopo aver incontrato lo stesso Henry Kellett sull’Herald e Thomas Moore sulla Plover, Collinson aveva cercato di proseguire verso nord, ma a settembre aveva cambiato idea e aveva deciso di far virare l’Enterprise a sud per svernare a Hong Kong. Quando era tornato sulle coste dell’Alaska, il luglio successivo, aveva fatto incagliare la nave nel pack al largo di Point Barrow, ignorando come al solito i consigli dell’ice master Francis Skead.
Ad agosto la nave si era liberata e il 26 aveva raggiunto il promontorio meridionale dell’isola di Banks, prendendone pomposamente possesso in nome della regina d’Inghilterra senza sapere che McClure aveva fatto la stessa cosa un anno prima. In condizioni di ubriachezza molesta, Collinson aveva ceduto il comando dell’Enterprise a Skead, che aveva condotto la nave nello stretto del Principe di Galles e di qui all’isola della Principessa reale, scoprendo che McClure era stato anche lì, sei settimane prima. Frastornato dalle continue sbornie, Collinson aveva ordinato a Skead di andare un po’ dove gli pareva, e Skead – fermato dal ghiaccio come era successo a McClure – aveva circumnavigato l’isola di Banks da est: aveva trovato un altro cairn con la notizia che McClure continuava a precederli, ma stavolta di soli quindici giorni.
Collinson si era strappato alla sua ebetudine solo per abbaiare a Skead l’incomprensibile ordine di tornare indietro; il 13 settembre 1851, invece di raggiungere l’Investigator nella baia di Mercy, l’Enterprise si era ancorata per l’inverno nella baia di Walker, sulla costa orientale dello stretto del Principe di Galles, ovvero sull’isola Victoria. Anche qui, un messaggio in un cairn segnalava al sempre più sbalordito capitano Collinson che qualcuno era stato in quel luogo remoto prima di lui – il tenente Haswell dell’Investigator, nello specifico, quindi comunque un uomo di McClure.
Erano seguite cinque settimane di bel tempo, che Skead avrebbe voluto sfruttare per portare la nave più a sud, ma il capitano – per il resto inattivo come una statua di sale – non solo aveva rifiutato il saggio consiglio, ma aveva preso a bersagliare Skead con rimproveri e insulti finché la situazione era diventata insostenibile e nell’aprile del 1852 Collinson aveva messo l’ice master agli arresti. In estate aveva voluto spingere l’Enterprise a sud fino al golfo di Coronation, tra l’isola Victoria e la costa settentrionale del Canada – zona già battuta, fra gli altri, da John Richardson e da John Rae. Poi la spedizione aveva svernato nella baia di Cambridge, sempre sulla costa meridionale dell’isola Victoria, a soli 190 chilometri dall’ancora inesplorata isola di re Guglielmo.
Collinson era stato dunque sul punto di svelare i due segreti più grandi dell’Artico, il passaggio a nord-ovest e il destino di Franklin, ma ancora una volta gli erano mancati intuizione e coraggio: spaventato dalle cattive condizioni del ghiaccio, aveva fatto deviare l’Enterprise a nord, e aveva esplorato in slitta la costa occidentale dello stretto di Victoria con l’unico risultato di trovare l’ennesimo cairn con la preziosa informazione del passaggio di John Rae in quel recesso fuori dal mondo, per di più due anni prima.
Collezionista imbattibile di pessime notizie, Collinson aveva riportato la nave sulla costa nord dell’Alaska persvernare nella baia di Camden. Quando il 24 agosto 1854 l’Enterprise aveva raggiunto Port Clarence, nell’Alaska occidentale, il tenente Philip Sharpe della nave appoggio Hms Rattlesnake era rimasto sconvolto nel constatare il grado di anarchia che regnava a bordo: Collinson, quando non era ubriaco fradicio, aveva avuto scontri durissimi con tutti i suoi ufficiali, che da quindici mesi non mettevano piede fuori dalla nave ed erano stati confinati a turno agli arresti; quanto al disgraziato ice master Francis Skead, era ai ceppi da due anni e otto mesi e sembrava leggermente impazzito.
In seguito Collinson avrebbe addirittura chiesto che i suoi ufficiali venissero sottoposti alla corte marziale, ma l’Ammiragliato avrebbe opposto un netto rifiuto. Collinson avrebbe anche reclamato il diritto alla scoperta del passaggio a nord-ovest, ma naturalmente la sua infondata richiesta non sarebbe stata presa in considerazione. Dopo cinque folli anni nell’Artico, l’Ammiragliato lo liquidò con una misera menzione d’onore. Richard Collinson non cercò più di ottenere incarichi di alcun genere in marina, e d’altra parte nessuno si sognò mai nemmeno lontanamente di offrirgliene uno.
Tratto da “Le navi perdute del capitano Franklin” (Einaudi) di Luigi Guarnieri, pp. 90, 21,oo€