Immaginate di essere un tranquillo cittadino inglese del 1647. Infuria la guerra civile, Oliver Cromwell ha rimpiazzato il re, ma voi pensate di esservela cavata senza troppi stravolgimenti nella vostra vita. Finché il Parlamento approva un’ordinanza che credevate impossibile. Nel giugno 1647 fu promulgata “An Ordinance for Abolishing of Festivals” con cui si aboliva il Natale. Il decreto sopprimeva tutte le feste e le celebrazioni religiose: quindi via il Natale, ma anche Pasqua e Pentecoste.
Il 25 dicembre 1647 tutte le attività dovettero rimanere aperte. Banditi anche i festeggiamenti in casa e previste multe per chi non avesse rispettato il divieto. Ma per indorare la pillola, fu stabilito che ai servi, agli apprendisti e agli altri lavoratori fosse concesso un giorno di ferie al mese che cadeva ogni secondo martedì (tuttavia, quell’anno il Natale cadeva di mercoledì). Solo con il ritorno sul trono di Carlo II Stuart, l’Inghilterra poté assaporare di nuovo la gioia del Natale. Forse è questo il vero motivo per cui Carlo II è passato alla storia come “the Merry Monarch”.
(…) Ah, il Natale. il calore confortante delle mura domestiche, la bontà di tanti dolci gustosi, e le interminabili ore di tombola con i parenti sempre carichi di domande scomode. Ma la tombola può considerarsi un gioco d’azzardo? In merito si pronunciò la Corte di Cassazione di Roma nel novembre 1884. La Cassazione ritenne che una tombolata pubblica non fosse altro che illegale in quanto paragonabile al gioco d’azzardo, anche se la vincita era semplicemente pari al costo della cartella stessa. Tranquilli, niente allarme: la vostra stagione invernale di tombolate casalinghe è salva. La Cassazione, infatti, non condannava la circostanza, completamente diversa, del «familiare divertimento della tombola in luogo privato, nell’interno cioè delle case e delle famiglie al pubblico assolutamente inaccessibile, il quale divertimento devesi considerare lecito e quindi non se ne può trarre un argomento in contrario al divieto delle tombole pubbliche».
(…) Nel 1991 un ferroviere napoletano in pensione, il sig. Armando Narciso, decise di diventare Babbo Natale. Come? Presto detto: depositò due marchi, uno denominativo per il nome “Babbo Natale” e uno figurativo così descritto “figura di uomo con barba e baffi bianchi vestito di rosso con bordi bianchi e cappellino rosso con pallino finale bianco e stivali neri”. L’Ufficio marchi li registrò senza dire “a”. Da quel giorno, il Nostro pretese di essere riconosciuto come Babbo Natale in persona, tanto che i bambini da tutta Italia iniziarono a indirizzare a lui le letterine con la richiesta di regali. Armando Babbo Natale Narciso pubblicò anche un libro con la raccolta di queste lettere.
Qualche anno più tardi, però, fu al centro di una curiosissima polemica politica. Infatti, nel 1996 Poste Italiane – che aveva deciso di realizzare un francobollo natalizio con l’effige di Babbo Natale – ritenne che per poter procedere a questo speciale annullo filatelico fosse necessario ottenere una licenza dal titolare dei marchi, il sig. Narciso, appunto. A ritenere la questione alquanto stramba fu un deputato della Lega Nord, Borghezio, che in un’interrogazione parlamentare dell’aprile 1997 chiese chiarimenti al Ministro degli Interni, lamentando che quella di Babbo Natale fosse una leggenda nordica non appropriabile da un napoletano. Il ministro, Giorgio Napolitano, chiarì che l’accordo era stato fatto solo per evitare una causa con il sig. Narciso, che risultava in effetti titolare del marchio su Babbo Natale. Ci spiace molto riferirvi che quei mitici marchi non furono poi rinnovati.
(…) La festa dell’Epifania è sempre stata una ricorrenza molto amata, ed è un giorno celebrato come festa sin dal tempo degli antichi Celti. Tuttavia, nel 1977 il terzo governo Andreotti ritenne che in Italia ci fossero troppi giorni festivi. Era l’epoca della crisi del petrolio, dell’austerity, delle prime domeniche a piedi e della riscoperta delle candele per risparmiare la costosa energia elettrica. Dunque, l’Epifania cadde sotto la mannaia legislativa della L. 54 del 5 marzo 1977 e il 6 gennaio divenne un normale giorno di lavoro e di scuola. Papa Paolo VI spostò l’Epifania alla domenica successiva e fece buon viso a cattivo gioco. Ma apparentemente quello che non poté il Vaticano riuscirono i bambini: il tasso di assenteismo scolastico il 6 gennaio risultava altissimo, attorno all’ottanta per cento secondo i giornali. E pure i grandi prendevano le ferie quel giorno. Alla fine, nel 1985 Bettino Craxi si arrese: con il D.P.R. 792/1985 venne ripristinata agli effetti civili la festività dell’Epifania e da allora nessuno l’ha più toccata.