Perdere il filoLa verità sulla tregua a Gaza, e il falso mito del tempo perduto

L’argomento secondo cui il cessate il fuoco sarebbe stato possibile mesi fa se non fosse stato per il governo israeliano è frutto del solito pregiudizio che ignora malevolmente la necessità di Gerusalemme di prevenire il riarmo di Hamas e di controllare efficacemente il Corridoio Filadelfia

AP/Lapresse

Se fosse soltanto segno di sciocchezza, e non anche di profonda malafede, si potrebbe lasciar lì a fare il suo povero lavoro l’argomento secondo cui l’accordo per il cessate il fuoco a Gaza e per la liberazione degli ostaggi, se non fosse stato per l’opposizione di Israele, si sarebbe potuto raggiungere anche molti mesi fa. Ma siccome nemmeno questa volta e nemmeno su questo argomento si tratta di superficialità facilona, ma della disinformazione impegnata maliziosamente ad affastellare ragioni d’accusa contro lo Stato ebraico, colpevole prima della guerra e colpevole poi di non avervi posto fine quand’era possibile, occorre rimettere insieme i pezzi.

A cominciare da quello grosso, vale a dire il Corridoio Filadelfia, cioè la linea che insiste sul confine meridionale della Striscia sempre attraversata, prima del presidio israeliano, dal fiume di armi che alimentava le capacità offensive di Hamas. Ebbene, diversamente rispetto allo schema odierno, le bozze di accordo dei mesi scorsi prevedevano un ritiro immediato e totale di Israele dal Corridoio.

Come tutti ricordano, l’intransigenza di Benjamin Netanyahu su quel punto fece guadagnare a Israele la patente dell’entità guerrafondaia disposta a sacrificare tutto, a cominciare dalla vita degli ostaggi, in omaggio a uno stralunato attaccamento a un fungibile pezzaccio di terra e sabbia. Non era così, evidentemente, e anche i militari – certo non tutti – che suggerivano a Bibi di accettare non si sognavano neppure di considerare irrilevante quella concessione, ma ritenevano semmai che valesse la pena di accordarla perché l’esercito sarebbe poi stato in grado di riprendere il controllo dell’area se, come era probabile, si fosse nuovamente prestata alle manovre di Hamas e ai passati passaggi di armamenti. Ma non è, ovviamente, tutto. 

Che le bozze di accordo dei mesi passati – peraltro frustrate in primo luogo dai tira e molla di Hamas, non certo dai capricci israeliani, a tacere del bel regalo di sei ostaggi giustiziati con un colpo alla nuca – non possano essere in nessun modo paragonate alle linee dell’accordo ora in chiusura è spiegato con qualche definitività guardando a ciò che in questi mesi è successo. Se pure si trattasse (come non si tratta) di identici contenuti negoziali, l’accordo non è lo stesso prima o dopo l’eliminazione di Ismail Haniyeh, non è lo stesso prima o dopo l’eliminazione di Yahya Sinwar, non è lo stesso prima o dopo l’eliminazione di Hassan Nasrallah, non è lo stesso prima o dopo lo smantellamento di Hezbollah, non è lo stesso prima o dopo la caduta del regime siriano. 

Tutte le cose che magari ci sarebbero state anche dopo (facciamo finta di poterlo ipotizzare) ma che, non essendoci allora, facevano lo scenario platealmente diverso; e che, essendoci ora, lo immutano in modo tale da privare di qualsiasi senso certe improbabili divagazioni sul presunto tempo perduto. Ma sono divagazioni che non hanno nulla a che fare con l’intelligenza delle cose e, al solito, con un rispetto anche vago per la verità. Adempiono alla solita, inesausta missione mistificatrice ed esprimono il solito, inesausto pregiudizio.

X