Sopravvivere o morireL’equivoco su Israele, e la forza necessaria per proteggere la sua libertà

Chi critica Gerusalemme per come risponde ai continui attacchi subiti dal 1948 non capisce che questo Stato è una maestosa, lunga e sofferta operazione di salvataggio. La potenza impiegata per difenderlo rappresenta l’unica opzione alternativa al nulla

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È sicuramente ben intenzionato l’articolo di Ernesto Galli della Loggia, intitolato “La forza di Israele”, pubblicato il 30 dicembre dal Corriere della Sera. A proposito della guerra di Gaza, e della riprovazione che essa suscita presso larga parte dell’osservazione occidentale, Galli della Loggia spiega che si tratta, per un verso, del fatto che l’ebraismo conserva un vincolo con la dimensione della forza e della disponibilità a usare di questa fino in fondo, la quale dimensione «si traduce nella fredda adozione del principio di realtà nel quale trova posto anche la dimensione umanissima e primordiale (e perciò per il nostro bon ton insopportabile) della vendetta»; per altro verso, e cioè sul fronte della reazione occidentale al dispiegarsi di quella presunta attitudine arcaica dell’ebraismo guerriero e vendicativo, l’illustre commentatore del Corriere si domanda se «la riprovazione che ci piace muovere a Israele per il suo uso spregiudicato della potenza», non sia forse «solo un modo per cercare di nascondere a noi stessi la nostra impotenza».

Sono considerazioni interessanti quanto – se posso permettermi di osservarlo – fuorvianti. Che ci sia qualcosa di specialmente primigenio nell’adunarsi del popolo in armi di Israele dopo gli eccidi del 7 ottobre – come, già prima, in occasione delle tante guerre dall’indipendenza in poi – è certamente vero. Il venticinque per cento delle forze armate israeliane nel 1948 era costituito da sopravvissuti ai campi di sterminio, e questo dice abbastanza del fatto che era bensì un certo tipo di primordialità ad animare quella «potenza», ma davvero spoglia di qualsiasi vagheggiamento ebraista.

L’uso «spregiudicato» della forza da parte degli israeliani era, e continua a essere, il movimento delle braccia e delle gambe cui è costretto un animale umano in mezzo al mare. L’uso della forza per sopravvivere nell’unico posto, Israele, destinato agli ebrei che non devono chiedere il permesso di sopravvivere. Questo non è compreso – non dico da Galli della Loggia, per carità – perché non si comprende che cosa è veramente Israele, per cosa è stato costruito Israele e, dunque, chi sono gli ebrei israeliani. L’ebraismo c’entra assai poco. 

Israele è una maestosa, lunga e sofferta operazione di salvataggio. Gli israeliani sono rifugiati. Questo è il carattere primordiale di Israele e degli israeliani, e la forza per costruire Israele, la potenza impiegata per difenderlo, non rappresentano una scelta in luogo di un’altra, un’opzione tra altre disponibili: ma l’unica scelta possibile, l’unica opzione alternativa al nulla. Nient’altro, insomma, che la scelta tra la vita e la morte. 

Il 7 ottobre – questo è vero – ha fatto comprendere nuovamente a tutti gli israeliani, cioè anche ai pochi che non ne avevano più memoria, che il loro paese è stato costruito per quello: per sopravvivere senza chiedere il permesso di sopravvivere. E che la forza necessaria per difendere quello che avevano costruito loro stessi, i loro padri e i loro nonni era quella che avrebbe suscitato lo sdegno altrui.

Ma lo sdegno altrui non era degli impotenti, privi delle attitudini di potenza dell’ebraismo. Lo sdegno altrui era di quelli che avevano chiuso le porte agli ebrei prima, durante e dopo la Shoah (anche dopo, come sa bene Galli della Loggia), e che accordano agli ebrei di Israele un diritto all’esistenza condizionato. E la condizione è che gli ebrei di Israele siano sottoposti – unico popolo al mondo – al gradimento morale altrui, con condanna all’illegittimità dello Stato degli ebrei se il gradimento è revocato. 

C’entra poco o nulla – ripeto – l’ebraismo. C’entra l’inesausto antisemitismo genocida: contro il quale – anche questo, nuovamente, è vero – serve tutta la forza che gli israeliani possono darsi. Ma solo perché davvero da nessun altro possono riceverne.

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