È servita la pandemia per convincere tante famiglie ad assumere con un contratto regolare colf, badanti e baby sitter già presenti nelle case degli italiani. Per dimostrare la necessità degli spostamenti durante il lockdown, tra il 2020 e il 2021 le pratiche di regolarizzazione all’Inps sono aumentate del tredici per cento. A questo, si è aggiunta poi la sanatoria degli immigrati irregolari del 2020, concentrata su agricoltura e lavoro domestico. Dopodiché, però, il numero di colf e badanti regolari è tornato a scendere del 7,7 per cento. E oggi quasi un lavoratore su due è ancora irregolare.
Secondo i dati del Rapporto annuale sul lavoro domestico dell’Osservatorio Domina, il tasso di irregolarità, dopo il minimo del 45,7 per cento raggiunto nel 2020, è tornato a salire nel 2023 al 47,1 per cento. Tenendo conto anche degli irregolari, parliamo di un settore che coinvolge oltre 3,3 milioni di persone. Pari a oltre 1,7 milioni di datori di lavoro e 1,5 milioni di lavoratori.
Con un giro di denaro notevole. Le famiglie italiane, spiegano da Domina, spendono in totale tredici miliardi di euro per la cura di figli e anziani, di cui 7,6 miliardi per pagare le buste paga dei lavoratori domestici regolari e 5,4 miliardi per gli irregolari. Una grossa fetta di questo settore sfugge ancora al fisco, nonostante generi per lo Stato un risparmio di circa sei miliardi di euro (lo 0,3 per cento del Pil), ovvero l’importo di cui le casse pubbliche dovrebbero farsi carico se solo gli anziani accuditi in casa fossero ricoverati in una struttura.
Tra le modalità di pagamento dello stipendio dei lavoratori domestici, non a caso, solo il ventisette per cento delle famiglie italiane utilizza bonifici bancari tracciabili. Ma la forma più comune rimane il pagamento in contanti (trentanove per cento).
Il tutto a fronte di stipendi molto bassi. Tra chi lavora come badante, solo il ventinove per cento percepisce più di dodicimila euro anno, mentre tra le colf questa quota scende al 13,2 per cento. Il 20,5 per cento delle badanti e il 28,7 per cento delle colf guadagna invece meno di tremila euro l’anno.
Nel 2023 si contavano 833.874 lavoratori domestici regolari assunti direttamente dalle famiglie italiane, in discesa per il secondo anno di fila. Il calo più forte si è registrato tra gli uomini stranieri, il gruppo cresciuto di più nelle regolarizzazioni avvenute tra il 2020 e il 2021. Le donne restano la maggioranza (88,6 per cento), soprattutto straniere (sessantanove per cento). Al primo posto si piazzano ancora i lavoratori provenienti dall’Est Europa (35,7 per cento), sceguiti dai lavoratori italiani, cresciuti dal 23,4 per cento al 31,1 per cento negli ultimi dieci anni.
L’età media resta alta, a 50,7 anni. Più alta tra chi lavora come badante (52,1 anni) rispetto a chi lavora come colf (49,4 anni). E ancora più alta tra gli italiani, con un’età media di 51,1 anni.
Secondo l’Osservatorio Domina, il lavoro domestico produce da solo 15,8 miliardi di valore aggiunto, cioè un punto percentuale di Pil generato. Ma se si considera l’intero settore della cura (care economy), il valore economico sale a 84,4 miliardi di euro, il 4,4 per cento del Pil totale. Per fare qualche confronto: l’agricoltura produce 39,5 miliardi (2,1 per cento del Pil); alberghi, bar e ristoranti si attestano a 79,9 miliardi (4,2 per cento del Pil).
Far emergere il nero dilagante comporterebbe quindi un introito notevole per lo Stato. Oltre che una tutela necessaria per quasi ottocentomila lavoratori oggi invisibili. Uno su tre è italiano.