Ci sono diversi cretini, in queste ore, che più che per la liberazione di Cecilia Sala esultano per il successo di Giorgia Meloni nella non facile missione di liberarla. O meglio (peggio): più che per il successo di Giorgia Meloni, esultano al pensiero dell’insuccesso a cui, nella stessa missione, immaginano che sarebbero andati incontro Elly Schlein o qualsiasi altro eventuale presidente del Consiglio, passato o futuribile, espresso dal centrosinistra. Ebbene, sono cretini (perché non è questo il momento di rimestare maramaldeschi battibecchi), però hanno ragione. Solo Giorgia Meloni, vanno cicalando, poteva riuscire nell’impresa, solo lei e nessun altro. È vero (applausi, sinceri, a lei – anche per la discrezione con cui si è rapidamente defilata, a Ciampino, all’arrivo della giornalista).
È vero perché negli Stati Uniti – il Paese amico dal quale, come ognun sa, dipendeva il via libera all’operazione diplomatica che ha portato al rilascio della nostra connazionale – c’è un presidente eletto che ha individuato la Sorella d’Italia quale sua testa di ponte nella riottosa Europa, e c’è un co-presidente non eletto che con la suddetta Sorella è in consolidati rapporti di simil fratellanza. Un qualsiasi altro politico italiano (“statista” sarebbe una parola grossa), specialmente se di centrosinistra, non avrebbe potuto contare su una simile benevola disponibilità.
Ma se anche alla Casa Bianca ci fosse (fosse in arrivo) un presidente democratico, un leader italiano di qualsiasi colore, anche di destra, non avrebbe avuto altrettante possibilità di riuscire. Perché i rapporti internazionali, come ogni altra questione che abbia una rilevanza politica, comportano il rispetto di una serie di procedure formali a cui soprattutto il mondo progressista, in Italia ma anche negli Stati Uniti, è più sensibile della destra, anche se a volte diventano sterili formalismi buoni soltanto a complicare le cose.
Domanda: sarebbero immaginabili un presidente democratico statunitense e un presidente del Consiglio italiano di centrosinistra che in nome della convenienza, dell’affinità politica, dell’amicizia personale si mettono d’accordo e in quattro e quattr’otto ti risolvono un intrigo internazionale che coinvolge delicati equilibri nei rapporti reciproci dei due Paesi e tra diverse istanze istituzionali al loro interno? Con uno che dice «Ahò, noi ’sto Abedini l’abbiamo arrestato; ora però…» e l’altro che conviene «Effettivamente ci sarebbe la richiesta di estradizione, ma insomma, dai, ci aggiustiamo…». E infatti il presidente uscente Biden aveva subito chiarito che non avrebbe ritirato la richiesta di estradizione.
Ma tra amici la situazione è diversa. Tra gli amici non c’è neppure bisogno di giustizia, ha spiegato Aristotele nell’Etica nicomachea (VIII, 1155a): l’amicizia è qualche cosa di ancora più nobile che supera la giustizia e, tra gli amici, la rende pleonastica. Se la richiesta di estradare Abedini è conforme a una convenzione internazionale ratificata dall’Italia e suffragata dalla documentazione proveniente da oltreoceano, è giusto che l’ingegnere iraniano sia consegnato agli Stati Uniti e ivi sottoposto a giudizio. Ma Trump e Meloni sono amici, non hanno bisogno di attenersi alle forme impersonali della giustizia, e nessuno dei due riterrà di compiere o di subire un’ingiustizia se Abedini verrà sottratto alle corti Usa. Una pacca e via, visto? Tutto risolto.
Quando c’è l’amicizia non è necessario andare troppo per il sottile: e l’indole destrorsa rifugge dalle sottigliezze, aborre i distinguo e le lungaggini procedurali, bypassa i passaggi intermedi, e agli equilibrismi paralizzanti preferisce le scorciatoie della disintermediazione semplificante e del decisionismo tranchant: a volte, come nel caso di Cecilia Sala, è la via migliore, la più performante (altre volte un vicolo cieco per aspiranti rodomonti). Bisogna riconoscerlo: non sempre la scrupolosa osservanza delle regole formali, che è coessenziale all’ethos democratico, serve a conseguire – e conseguirli in fretta – gli scopi desiderati. Ma se tutta la politica sempre più si riduce a una questione di rapporti personali, quel che si profila è l’arbitrio e lo svuotamento della democrazia. Possiamo correre questo rischio?