Sarebbe impossibile, anche impegnandovisi, dare torto a Carmelo Palma quando scrive che la destra non è affatto immune dal populismo giustizialista che affligge e connota gli atteggiamenti della controparte politica, rappresentandone semmai una versione classista e manganelluta che davvero non attenta, anzi, al potere corporativo della Repubblica delle Procure e all’incultura della giurisdizione e dei diritti che quel potere ha ormai trionfalmente imposto.
L’impostazione sbirresco-mafiosa della linea culturale ed esecutiva di questa nostra destra – quella che, per intendersi, concepisce il buon ordine sociale con la gente dabbene e i circoli amicali non molestati dalle toghe rosse, da un lato, e dall’altro lato con i neri e gli zingari tenuti a pane e acqua, mica vorranno anche la televisione e l’aria condizionata mentre gli italiani faticano ad arrivare a fine mese – quell’impostazione da giustizia latifondiaria, dicevo, è effettivamente, come denuncia Palma, l’altra faccia della divisa giustizialista, non meno detestabile rispetto alla concezione avversaria secondo cui la giurisdizione è concepita per assolvere un compito di tutela sociale diverso soltanto perché rieduca diverse fasce di cattivi.
Il discorso mi sembra incompleto, tuttavia, se non si aggiunge e non si precisa che negli strumenti, nei modi (le connotazioni della giustizia e dell’ingiustizia sono sempre, per definizione, modali), quelle due equiparabili impostazioni si manifestano in modo diverso e, soprattutto, in modo diverso urtano quel che si dice lo Stato di diritto.
A destra c’è disponibilità, ampia, a trascrivere in legge quell’idea discriminatoria, su base classista e razzista, che affida alla giurisdizione di tenere a bada la canaglia e di non rompere troppo le scatole alle persone perbene, in buona sostanza quelle che vanno a messa e battono la moglie, sì, ma mica chiedono la costruzione di una moschea, quelle che trafficano illecitamente sui rifiuti, d’accordo, ma mica vivono e delinquono in discariche a cielo aperto, come i rom, quelle che qualche strisciolina bianca se la fanno, tra un disegno di legge e un consiglio di amministrazione di una partecipata statale, va bene, ma mica stanno a passarsi la canna nei giardinetti come certi giovinastri senza più valori.
Ma tutto questo non destituisce lo Stato di diritto (che non vuol dire uno Stato giusto): tutto questo istituisce uno Stato con tendenze confessional-autoritarie e con un sistema giurisdizionale commisurato a presidiarlo, che è una stortura di tutt’altro tipo.
A sinistra trionfa una disponibilità diversa. La quale, diversamente rispetto a quella imperante a destra, attenta in modo irrimediabile allo Stato di diritto. A sinistra si vuole, o almeno si lascia, che la giurisdizione adempia al proprio compito di tutela sociale e di riaffermazione della relativa giustizia sbrigliando il magistrato a fare quello che vuole, a violentare la legge per ricondurla a quella giustizia, a operare creativamente – ovviamente con la copertura del provvedimento costituzionalmente orientato – affinché l’ordine progressista, l’ordine della Costituzione antifascista, l’ordine della Repubblica fondata sulla Resistenza si imponga costi quel che costi, e cioè al costo della violazione di legge, sulla presunta ingiustizia di volta in volta sottoposta a cognizione.
In un caso, a destra, è l’automa di Ruspa&Rosario. Nell’altro, a sinistra, è il sacerdote dell’antimafia e della resistenza, resistenza, resistenza contro la politica con gli scheletri nell’armadio. In un caso è il magistrato-campiere. Nell’altro è il magistrato-golpista.