Camillo di Christian RoccaLa svolta che non c'è

New York. Gli americani hanno ricevuto informazioni un po’ bislacche su Guantanamo e sulla guerra al terrorismo, ha detto George W. Bush mercoledì pomeriggio alla Casa Bianca davanti a una platea di familiari di vittime dell’11 settembre. “Lasciatemi dire come stanno le cose”, ha chiesto Bush. Il presidente queste cose le ha dette, con uno dei discorsi meno ideologici e più fattuali del suo secondo mandato. E’ stato il terzo “major speech” in pochi giorni, il quarto con quello di ieri mattina in Georgia in cui ha spiegato nel dettaglio tutte le misure di prevenzione, di controllo e di intelligence adottate dal 2001 a oggi per rendere il paese più sicuro. Questa serie di discorsi pronunciati alla vigilia del quinto anniversario dell’attacco all’America, e a sessanta giorni dalle elezioni di metà mandato del 7 novembre, costituiscono una strategia precisa, attesa, quasi scontata, della Casa Bianca, studiata per ricordare agli americani la natura totalitaria dell’ideologia islamista, la pericolosità dell’Iran atomico, la centralità dell’Iraq in questa battaglia di libertà e l’efficacia degli strumenti usati fin qui per proteggere la sicurezza nazionale e distruggere la rete terrorista.
I grandi giornali americani hanno riportato queste parole di Bush riconoscendo a denti stretti, ma unanimemente, il colpo da maestro inferto dal presidente ai leader democratici, costretti di nuovo all’angolo perché come sempre incapaci di decidere se appoggiare la politica di sicurezza del presidente, autoriducendosi le chance di vittoria a novembre, oppure mostrarsi deboli sulle questioni di difesa nazionale col rischio di fare ancora una volta il gioco di Karl Rove. Bush non ha cambiato di una virgola la sua politica sul trattamento dei “nemici combattenti”, né sulla necessità di istituire corti speciali per processare i terroristi, né sulla possibilità che la Cia continui a interrogare con metodi più ruvidi, né sui limiti evidenti della Convenzione di Ginevra, né tantomento su Guantanamo (dove, a mo’ di nota per Repubblica, va ricordato che “le gabbie” non esistono più da oltre tre anni). Non è nemmeno una notizia la cosiddetta “ammissione” di aver tenuto prigionieri all’estero alcuni capi di al Qaida, come per esempio l’architetto degli attacchi dell’11 settembre, Khalid Sheikh Mohammed. Si sapeva da anni che era detenuto all’estero, ovviamente in un luogo segreto gestito dalla Cia.
La notizia vera, piuttosto, è che Bush ha sfruttato politicamente a suo favore una sentenza della Corte suprema di giugno che aveva reputato non sufficiente la semplice autorizzazione presidenziale per istituire corti speciali regolate da norme in violazione della Convenzione di Ginevra. In un solo colpo, Bush ha chiesto al Congresso di codificare in modo permanente le sue confermatissime scelte politiche e ha spiegato agli americani quanto siano state utili per arrestare i capi terroristi e smantellare il network dei kamikaze di al Qaida.
Il rilancio della campagna elettorale
I giornali italiani di ieri, Repubblica in testa, hanno raccontato tutta un’altra storia: prime pagine, editoriali e articoloni per spiegare che Bush avrebbe finalmente riconosciuto i suoi errori, ammesso i suoi fallimenti, seguito i consigli degli accorti alleati europei, deciso di chiudere “l’inutile orrore” di Guantanamo, abbandonato la definizione di “nemici combattenti” e, infine, di essere rientrato nei ranghi legali della Convenzione di Ginevra. Bush, invece, ha detto l’esatto contrario. Sarebbe bastato ascoltare il suo discorso o leggere il testo  oppure, ieri mattina, sfogliare i grandi quotidiani liberal americani, per evitare la figuraccia e la disinformazione. Sarebbe stato sufficiente, peraltro, applicare un minimo di senso logico per capire al volo che l’aggressiva strategia bushiana antiterrorismo di cui hanno parlato tutti i giornali del mondo, compresi quelli italiani, mal si poteva conciliare con un clamoroso mea culpa e una dolorosa presa d’atto del fallimento delle medesime scelte.
I commenti dei giornali liberal americani fanno a pugni con le frettolose conclusioni tratte nelle redazioni italiane. Il principale editoriale del Washington Post, per citarne uno molto critico e durissimo con Bush proprio perché non ha cambiato politica, ha ricordato che il presidente “ha difeso a spada tratta  ‘le procedure alternative’ della Cia”, mentre “la proposta di legge che ha inviato al Congresso lo autorizza a riesumare alcuni dei peggiori eccessi degli ultimi cinque anni”.
(segue dalla prima pagina) Al contrario di quanto hanno scritto i giornali italiani ieri mattina, il Washington Post ha ricordato che Bush, nel suo discorso di mercoledì, “non ha mostrato alcun segno di pentimento per le tecniche di interrogatorio usate”. A giugno, ha ricordato il Post, la Corte suprema aveva chiesto che le regole per i processi ai terroristi fossero scelte dal Congresso, “ma il regime detentivo e di interrogatorio che Bush ora vuole che il Congresso approvi è pessimo quasi quanto quello che la Corte gli aveva imposto di abbandonare”. Bush ha contestato apertamente le indicazioni di merito della Corte suprema, giudicando “inaccettabile” che, per effetto dell’applicazione dell’articolo 3 della Convenzione di Ginevra agli alqaidisti, gli ufficiali dei servizi americani in prima linea nella guerra al terrorismo possano essere processati per crimini di guerra. “Le regole di Ginevra sono vaghe e non definite, ciascuna delle quali può essere interpretata in modo differente dai giudici americani o stranieri”, ha detto Bush. Da qui la necessità di definire per legge ciò che è consentito fare agli agenti americani. E ciò che è consentito fare, secondo Bush, è esattamente quello che fin qui lui ha autorizzato. Bush ha rimarcato il concetto che i terroristi non possono avere gli stessi diritti concessi 60 anni fa ai prigionieri di guerra, al punto che la Casa Bianca ha ribadito con un comunicato che “né la proposta di legge presentata al Congresso né il trasferimento a Guantanamo dei 14 capi terroristi conferiscono ai detenuti lo status di prigionieri di guerra”. Bush ha inoltre specificato che il programma di detenzione segreto della Cia rimarrà in piedi, peraltro confermando che continuerà ad avere regole di interrogatorio e di detenzione speciali, e non meglio precisate, rispetto a quelle in vigore a Guantanamo. Bush non solo non ha cambiato linea, ma continua a considerare utile, efficace e addirittura indispensabile la possibilità di interrogare “con procedure dure, ma sicure, legali e necessarie” i capibastone di al Qaida. Soltanto dopo che sono state ottenute tutte le informazioni, i detenuti saranno trasferiti a Guantanamo (che non chiude, quindi) per poi poter essere processati, ma sempre con regole diverse rispetto a quelle previste da Ginevra.

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