Dio c’è e sta a sinistra. I candidati alla Casa Bianca 2008 pii e religiosi sono Hillary Clinton e Barack Obama, esponenti principali di un partito democratico più tendenza Binetti che Fassino. I due concorrenti laici e divorziati sono i repubblicani John McCain e Rudy Giuliani, sui quali pesa il non possumus delle organizzazioni cristiano-evangeliche e prima o poi anche di Marcello Pera. McCain dà di fuori di testa agli evangelici, calorosamente ricambiato. Giuliani è favorevole al diritto di interrompere la gravidanza (“credo nel diritto di scelta della donna”), difende la sentenza liberalizzatrice dell’aborto Roe contro Wade (“a questo punto è un precedente”), si diverte a travestirsi da donna durante le parate dell’orgoglio omosessuale al Village, è stato a lungo ospite di una coppia pacsata gay nei mesi del divorzio e da sindaco di New York ha regolamentato le unioni civili come neanche nelle mozioni della Rosa nel Pugno. L’altra sera, all’anchorman della Fox preoccupato per l’accoglienza nel mondo conservatore delle sue posizioni sull’aborto, Giuliani ha risposto: “Ci saranno sempre cose su cui non si è d’accordo e quindi ci saranno anche persone che non ti voteranno. Bisogna farsene una ragione”.
Obama non potrebbe farsela questa ragione, tantomeno Hillary. Obama è famoso per aver chiesto al mondo politico di sinistra di non abbandonare la religione e per aver inaugurato una forma di progressismo compassionevole che gli fa condurre battaglie politiche insieme con il candidato della destra religiosa Sam Brownback. “E’ sbagliato chiedere ai credenti di lasciare la propria religione fuori dalla porta prima di entrare nell’arena pubblica – ha detto Obama in un discorso sulla religione che ha fatto parlare i circoli politici di Washington – Abramo Lincoln, Martin Luther King e la maggioranza dei grandi riformatori americani non erano soltanto motivati dalla loro fede, ma hanno anche usato il linguaggio religioso per sostenere le loro cause”.
Quando l’ex first lady faceva catechismo
Non è solo convenienza politica, ha spiegato ieri il settimanale Newsweek svelando che le radici religiose di Hillary Clinton non sono affatto posticce, ma risalgono al suo tredicesimo anno di età e all’incontro col reverendo metodista Don Jones. I giornali amici si dilungano sui tempi in cui l’ex first lady insegnava catechismo giù in Arkansas, sulle frequentazioni delle sessioni di preghiera mattutina al Senato, sull’impegno nella campagna d’informazione per l’astinenza come misura preventiva dell’aborto. Stiamo parlando di Hillary, non di George W. Bush e nemmeno di quel Karl Rove accusato da un ex alto funzionario della Casa Bianca di aver preso in giro gli evangelici e di chiamarli segretamente “quei matti”.
Il reverendo Jones, frequente ospite dei Clinton alla Casa Bianca, racconta invece ai giornali liberal i tempi in cui la giovane Hillary gli chiedeva di approfondire i passi biblici e le lodi al Signore. La paladina del progressismo americano, secondo il suo confessore, si fida delle potenzialità dell’uomo, ma è consapevole dei limiti dell’essere umano. Hillary “crede sul serio nella dottrina del peccato originale”, mentre il suo possibile avversario della destra retrograda si diverte a travestirsi da Marilyn.
7 Febbraio 2007