Uno ad uno, lentamente, i palazzoni sono venuti giù, sotto il braccio meccanico dei demolitori. Adesso, dopo anni di lavori, sta per scomparire anche l’ultimo high rise.
Tra poco tempoesisteranno soltanto queste immagini di Street view, per ricordare da ogni prospettiva Cabrini-Green, uno tra i più celebri e drammatici quartieri di edilizia popolare di Chicago. Metafora amara, nella città di Barack Obama, di tutti gli esperimenti falliti di architettura sociale del ventesimo secolo.
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Fatte le debite proporzioni, Cabrini-Green è stato per Chicago quello che le Vele di Scampia sono per Napoli. Con in più una spaventosa serie di episodi di violenza, e una totale esclusione razziale. Scrive Marco d’Eramo, nel suo Il maiale e il grattacielo, saggio sulla Città del vento:
Ti mostrano i fori delle pallottole sulle pareti, ti indicano i bossoli. Non sono tracce della Seconda guerra mondiale, sono i segni della diuturna guerra tra gang. […] In un anno sono stati uccisi tre bambini.
In un anno normale a Cabrini-Green si contano tra i 4 e i 7 omicidi, tra le 20 e le 30 violenze sessuali, circa 300 aggressioni, oltre 100 furti. A Cabrini-Green all’ultimo conteggio nel 2000 erano censiti poco più di 6000 abitanti, rispetto ai 20mila dell’epoca d’oro, e al 98% erano neri, tutti sotto la soglia di povertà.
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Qui nel 1997, in uno degli androni, una ragazzina di 9 anni, poi conosciuta come “Girl X“, venne violentata e avvelenata con l’insetticida, rimanendo cieca, paralizzata e muta.
Eppure, nonostante tutto, questo luogo terribile per qualcuno è stato la casa. Così l’abbattimento deciso dalle autorità non ha incontrato l’entusiasmo degli abitanti, che anzi hanno iniziato a mobilitarsi per provare a fermare le ruspe. Senza successo, certo. Ma qualcosa, di quello spirito, è rimasto fino ad oggi. E lo si può vedere ogni sera, nelle luci bianche che illuminano a intermittenza i 15 piani ormai deserti dell’ultimo condominio di Cabrini-Green.
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Quelle luci rappresentano le parole e i sentimenti di chi ha abitato, e spesso è nato, in questo ghetto costruito alla fine degli anni Cinquanta. Le ha raccolte un artista europeo, praghese, Jan Tichy. Sono ricordi e poesie, composti da gente comune, soprattutto adolescenti afroamericani. Si possono ascoltare sul sito di Project Cabrini-Green: ogni finestra, ogni luce, è una voce, e un addio.