“Come fai a vivere a Dubai? E’ una società schiavista”. Qualcuno mi ha chiesto anche questo. In pochi a dire la verità, solo i più sensibili. La maggior parte preferisce non vedere, é più semplice. Eppure é sempre la stessa città, quella del lusso e dei grattacieli. Ai suoi margini, peró, vicino al cimitero e alla discarica, in pieno deserto, c’é anche Sonapur: in hindi significa “la città d’oro” ed é lo sterminato quartiere che ospita le baracche degli operai edili. Di dorato c’é solo la sabbia che ricopre tutto e si infila ovunque. Vivono anche in dieci in una stanza di due-tre metri quadrati: qualche materasso buttato per terra e i loro pochi oggetti, qualche vestito pulito e le foto delle mogli e dei figli. La sveglia é all’alba, o anche prima, quando enormi bus bianchi li caricano e li accompagnano nei cantieri. Schiere di tute blu, rosse o verdi, a seconda delle società per la quale lavorano, si dirigono in fila verso il loro lunghissimo giorno: costruire i grattacieli, pietra dopo pietra, sotto un sole che d’estate fa salire la temperatura anche a 50 gradi. E’ disumano, non ci sono altri aggettivi per definirlo.
Finito il turno, spariscono di nuovo nel nulla del deserto, riaccompagnati a Sonapur. Sulla Sheik Zayed Road, l’arteria principale di Dubai, ogni sera accanto a Ferrati e Porche sfilano lenti quegli stessi bus bianchi. Dai finestrini spuntano gli occhi scuri, vuoti e stanchi di chi non ha più nulla, nemmeno la speranza che li ha spinti fin qui: un futuro migliore. Gli stipendi per 12 ore di lavoro, sei giorni su sette, sono di 120-180 euro al mese. Chi arriva a Dubai fugge da situazioni disperate. Qui arrivano i più poveri tra i poveri, dai villaggi dell’India, del Bangladesh, del Pakistan, dell’Afghanistan, dal Nepal e dalla Cina. Per stipendi migliori ci sono l’Europa o altri Paesi, ma bisogna pagare molto per andare lá ed essere già un po’ più ricchi. Ragazzi appena maggiorenni, ma anche uomini maturi, non sanno di preciso cosa li aspetti a Dubai. Le società di reclutamento li contattano nei loro Paesi di origine promettendo salari ottimi e chiedendo anche dei soldi in cambio del permesso di soggiorno e del lavoro. Arrivati negli Emirati vengono privati del passaporto per minimo due anni e costretti a lavorare e vivere in condizioni spaventose.
Rimangono intrappolati in questo inferno, sacrificando tutto, anche il cibo, per mandare qualche soldo a casa e non deludere i propri familiari. I casi di suicidi sono moltissimi (dati non ce ne sono, i numeri sono tenuti nascosti), ma alle famiglie vengono spacciati per incidenti sul lavoro. Il prezzo di una vita? Dai 3mila ai 5mila euro: é così che vengono rimborsate le famiglie di chi da Dubai non tornerà mai più. Scioccante. Ma a chi mi chiede “come fai a vivere a Dubai sapendo tutto questo?”, rispondo che detesto le ipocrisie: le ditte che sfruttano questi invisibili, senza garantire loro diritti, sicurezza e una vita dignitosa, sono in buona parte italiane ed europee. Preferisco stare qui e vedere la realtà per quella che é.